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Le Opinioni

Prima con la sostanza riempivo dei buchi, non dei bisogni... è una cosa molto diversa, li divide un filo molto sottile perchè i bisogni non potevo colmarli con la sostanza, … il bisogno d'affetto, di uscire dalla solitudine, …

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Prima  con la sostanza riempivo dei buchi, non dei bisogni... è una cosa molto diversa, li divide un filo molto sottile perchè i bisogni non potevo colmarli con la sostanza, … il  bisogno d'affetto, di uscire dalla solitudine, …

Sono Giuseppe, ho 37 anni, sono di Torino e sono un tossicodipendente. La mia storia è una storia molto comune a quella di tanti altri tossicodipendenti: un'infanzia difficile, in parte vissuta tra orfanotrofi ed istituti Caritas per l'assenza dei miei genitori; mia madre era assente perché a causa della sua malattia mentale era spesso ricoverata in psichiatria e mio padre era assente perché ci aveva abbandonato quando io avevo solo un anno. Fino ai 10 anni sono cresciuto in un istituto Caritas gestito da suore e lì ho sviluppato un senso di solitudine ed un senso di colpa. Senso di colpa perché mi chiedevo se mia madre mi lasciava lì perché non mi comportavo bene, perché non ero un bravo bambino e solitudine perché, non avendo nessuno che il sabato e la domenica mi venisse a prendere, rimanevo da solo in istituto. Nonostante questo sono riuscito a ricavarmi qualche piccolo attimo di felicità insieme a mia madre; ricordo qualcosa di bello, ad esempio le poche volte che veniva a prendermi e stavamo insieme il sabato o la domenica, poi quando mi riaccompagnava in istituto ascoltavamo una cassetta di Claudio Baglioni e cantavamo insieme in macchina...quelli erano momenti che mi sono rimasti dentro tutt'oggi.
Dopo l'istituto sono poi entrato in una casa-famiglia, sempre a causa dell'assenza di mia madre e di mio padre, e lì ho avuto il mio primo rapporto con la droga. Prima ho iniziato con le cosiddette droghe leggere, che poi in realtà sono tutt'altro che leggere perché sono pericolose e danneggiano come tutte le altre droghe... mi riferisco all'hashish ed alla marjuana. Poi sono arrivati gli acidi, le pastiglie, fino ad arrivare al primo tiro di cocaina a 15 anni. Nel frattempo sono stato preso in affidamento da mia sorella che aveva compiuto 18 anni ma il rapporto con lei non mi bastava: seppur cercasse di farmi da madre e di accudirmi come più poteva, il senso di vuoto rimaneva comunque... quest'assenza genitoriale mi ha segnato fin dal principio. Poi all'età di 20 anni, per dare una svolta alla mia vita, sono andato via dall'Italia e mi sono trasferito nell'isola di Tenerife. Lì ho trovato una compagna dalla quale ho avuto una figlia; tutto andava bene perché avevo colmato quel bisogno di avere una famiglia. Prima con la sostanza riempivo dei buchi, non dei bisogni... è una cosa molto diversa riempire un buco o un bisogno, li divide un filo molto sottile ma sono su due linee parallele che non si incrociano mai. Io con la sostanza riempivo dei buchi, i bisogni invece non li avevo mai colmati e con la nuova famiglia che avevo costruito ero riuscito a colmare il bisogno d'affetto, i sensi di colpa erano spariti e così anche la solitudine e le sostanze. Poi però le cose non sono andate bene con la mia compagna, lei ha deciso di rifarsi una vita con un altro uomo... non mi amava più. Quello è stato un colpo durissimo e sono ritornati i sensi di colpa: mi chiedevo cosa avessi fatto per meritarmi tutto questo, se fosse colpa mia del perché lei non mi amava più e che cosa avessi fatto per meritarmi di essere mollato così. Insieme è tornata anche la solitudine e sono ricaduto nella cocaina. Questa volta però non si trattava più di una sera ogni tanto ma ci sono ricaduto in pieno. E insieme alla ricaduta si è sviluppata quella che per me era una predisposizione ad una patologia psichiatrica. Ci tengo a sottolineare questo perché è importante che si sappia che chi ha una predisposizione ad avere una patologia psichiatrica con la droga tende a sviluppare una patologia a tutti gli effetti ed è quello che è successo a me... e così sono caduto anche nell'autolesionismo. L'autolesionismo per me era un modo per chiedere aiuto, per gridare che non stavo bene, era un bisogno che qualcuno si prendesse cura di me. Mi tagliavo tutti giorni, finivo in ospedale tutti i giorni e mi cucivano tutti i giorni. C'è molta gente che magari si spegne mozziconi sulle gambe costantemente perchè pensa di essere sola; non è sola perché molti tossicodipendenti hanno in comune questo autolesionismo, il segreto è quello di chiedere aiuto e di farsi aiutare.
Dopo questa brutta ricaduta decisi di tornare in Italia e voltare pagina nuovamente. Mi sono trasferito in Sardegna, ho trovato una nuova compagna e ho avuto un altro figlio. Avevo ricostruito una nuova famiglia e sembrava andasse tutto bene ma nel 2008 la mia ex compagna e mia figlia sono venute a mancare in un incidente stradale... mia figlia aveva solo 9 anni. Ho cominciato nuovamente a perdere il controllo, a stare male, sono andato in depressione e sono ricaduto di nuovo nella droga. Questa volta sono caduto anche nell'eroina... in questo modo il dolore veniva anestetizzato, veniva cancellato e quindi cercavo l'effetto stupefacente della sostanza proprio per non sentire. Per procurarmi i soldi per la droga purtroppo ho dovuto anche commettere dei reati e con i reati è arrivato anche il carcere. In carcere non ho trovato niente di buono... qualcuno pensa che il carcere sia meglio di una comunità e questo è totalmente sbagliato. Il carcere a me ha dato solo depressione, mi ha distrutto e logorato interiormente; lì ho sostituito quella che era la voglia della sostanza con la voglia di cibo e da 70 chili che pesavo sono arrivato a pesarne 130.
Finché è arrivato il CUFRAD che mi ha dato un'altra opportunità. Sono qua da circa 2 anni e sto lavorando sulle mie angosce, sui miei punti deboli, sulle mie fragilità, sulla mia solitudine, sul senso di vuoto e sui miei sensi di colpa. Il lavoro che si fa in comunità è molto importante perché oltre ai gruppi terapeutici, i colloqui individuali e la psicoterapia, in comunità si vive momento per momento, attimo per attimo..., anche nelle piccole cose che ci aiutano a diventare attenti agli altri, a rispettare tutti per poter esser rispettati. Questo è anche il senso della cura: un rimando di un compagno di gruppo, un confronto, condividere qualcosa con qualcuno... la condivisione, questo indica la parola "comunità": vivere in comune con qualcun altro, stare con gli altri. Il messaggio che vorrei che arrivasse con questa mia testimonianza è che non è mai tardi per chiedere aiuto perché anche quando ci si sente finiti, quando ci si sente al termine, non è mai tardi per farsi aiutare, l'importante è solo volerlo. L'importante è, se si cade, rialzarsi ed andare avanti. C'è chi ci è disponibile ad aiutare, dobbiamo essere noi a lascairglielo fare!