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Il vino? Un fiasco per i risparmiatori...

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Il risparmiatore stia lontano dal nettare degli dei. Il vino, uno dei prodotti più liquidi al mondo, dice addio all'universo della finanza. Almeno qui in Italia. A stabilirlo è stata la Consob, secondo la quale il vino e i future sulle vendemmie non sono né un prodotto né uno strumento finanziario, rispondendo a un quesito riguardo a un produttore che fornisce a una banca certificati da vendere agli sportelli che danno diritto a ricevere una bottiglia di vino al termine del periodo di maturazione. Secondo la Consob non si tratta di strumenti da assoggettare alle norme di pubblico risparmio, quindi niente prospetto informativo. Il vino dunque, capace di parlare al suo consumatore attraverso emozioni, non riesce a comunicare con il mondo dei risparmiatori. Secondo la Commissione di Borsa, i certificati "en primeur" che danno al proprietario il diritto a ricevere una certa quantità di vino una volta terminato il periodo di maturazione, "appaiono esclusi dalla nozione di strumento finanziario prevista dal nuovo testo dell'art. 1, comma 2, del Tuf, così come modificato dal d.lgs. n. 164 del 17.9.2007 di recepimento della direttiva Mifid". I certificati, infatti, non prevedono forme di regolamento del contratto alternative alla consegna fisica del vino e "non risultano estranei a scopi commerciali, né assimilabili ad altri strumenti finanziari derivati", spiega l'autorità. Oltre a non essere uno strumento finanziario, i certificati non sono da ricomprendere nemmeno nella nozione di "prodotto finanziario" perché i certificati non implicano un'attesa di profitto del capitale investito, ma "esclusivamente il diritto a ricevere una certa quantità di vino a scadenza". La banca, d'altra parte, nel collocare i certificati non garantisce una forma di rendimento, ma si limita ad assicurare il valore facciale del certificato nel caso in cui non sia possibile consegnare il vino a scadenza. Eppure c'è chi, come i francesi, sembra pensarla diversamente, considerando vino e finanza binomio inscindibile. Non è un caso che a Bordeaux esistono 12mila châteaux, di cui un migliaio vendono il proprio vino "en primeur" attraverso la rete di 200 négociant. Una figura, quella del négociant, che in Italia non esiste. Nei portafogli enologico-finanziari di Francia troviamo i grandi rossi come i Bordeaux e i Borgogna, e gli Champagne. Anche Borsa Italiana ha pensato in passato di fare un listino dedicato ai grandi vini italiani. Ma il progetto per il momento è stato congelato. La scarsa concentrazione di prodotti e la presenza di una miriade di micro-aziende sono sempre stati lo scoglio più grosso da superare nel nostro Paese. Troppe etichette e troppe cantine non permettono di creare un vero mercato finanziario italiano del vino.