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News di Alcologia

Alcolismo, una malattia che non ha età

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IL FENOMENO. Rispetto a vent'anni fa sono aumentati i fruitori, soprattutto le donne, e il consumo fuori pasto, con il puro e semplice scopo di ubriacarsi. I dati dello Smi
Le tipologie dei consumatori sono tre: i «puri», adulti sopra i 35 anni integrati e con un lavoro; i giovanissimi; chi usa alcol e cocaina insieme

«Che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini», si legge nella Bibbia (Siracide 31), dove però è chiaramente precisato «purché tu lo beva con misura». E la misura è probabilmente l'elemento che trasforma il vino, o l'alcol in generale, da piacere a problema.
«Secondo me l'alcol diventa un problema se dietro c'è altro, e allora l'alcol è il modo per non vedere i punti critici della vita», dice Michele Masserdotti, che di vini e consumatori se ne intende, lavorando da decenni in una storica osteria del centro storico. Osservazione condivisa da alcuni alcolisti anonimi, incontrati durante una delle loro riunioni settimanali al gruppo 1 di Brescia: «Sono diventato alcolizzato, credo, perché non sono riuscito ad affrontare lo stress e le responsabilità della vita». ammette Giancarlo, bresciano sulla cinquantina, che da 23 anni non beve più: «Ho cercato un amico nell'alcol, che mi ha dato euforia e forza, ma mi ha anche distrutto», ricorda.
Come lui tante altre persone, uomini e donne che spesso non si definiscono alcolisti, non riescono a vedere il problema e quindi non sono in grado di iniziare un percorso di liberazione dalla dipendenza. I dati delle Asl provinciali e cittadina parlano chiaro: dal 2001 al 2007 il numero delle persone definite alcoldipendenti prese in cura dai vari servizi è salito da 416 a 643, una cifra che va aumentata se si considerano le persone che non si fanno curare o che non hanno ancora preso coscienza del loro stato.Dei 643 alcoldipendenti del 2007, 174 erano donne (il 27,06 per cento) mentre 469 uomini (il 72,94 per cento) anche se «il numero delle donne è in costante aumento», assicura Ermete Cominelli direttore dello Smi (Servizio multidisciplinare integrato) «Mago di Oz», una struttura sanitaria del privato accreditato con sede a Ospitaletto, che nel 2007 curava 51 alcoldipendenti, mentre i restanti erano a carico delle unità operative di Brescia, Zanano, Orzinuovi e Salò.
LO SMI È IN GRADO di fornire dati più aggiornati, risalenti ai primi sei mesi dell'anno che si è appena concluso: questa struttura oggi ha in cura 900 utenti legati alle varie dipendenze (droga, alcol, gioco d'azzardo): «326 usano la cocaina come sostanza primaria, 314 l'alcol», spiega Cominelli, che precisa: «Si tratta per l'80 per cento di maschi adulti e italiani: solo una decina sono stranieri, perché gli utenti arrivano dai servizi sociali del Comune di Brescia, e gli stranieri difficilmente vi accedono».
Cominelli distingue tre tipologie di alcolisti: i «puri», in genere persone adulte, oltre i 35 anni, con un lavoro. Sono in prevalenza uomini, integrati socialmente, italiani «ma ci sono anche alcuni stranieri, soprattutto dall'est, in particolare donne ucraine e russe; poi qualche musulmano ma non musulmane. Sono persone che non commettono reati legati alla loro dipendenza e che spesso non hanno coscienza che l'alcol è un problema, non si considerano alcolisti. Pochi vengono spontaneamente, i più sono mandati dai servizi sociali o dalla famiglia».
La seconda tipologia è quella dei giovanissimi che consumano alcol per «sballare», con il preciso scopo di ubriacarsi, bevendo aperitivi, superalcolici e naturalmente birra a fiumi, soprattutto nei fine settimana o prefestivi. Relativamente a questo gruppo è eloquente lo studio coordinato dal dottor Francesco Donato, direttore della sezione igiene della facoltà di Medicina dell'università di Brescia, una ricerca sull'uso di alcol e fumo nelle scuole superiori della nostra città, già proposta nel 1989 e poi ripresa nel 2008 per aggiornare e paragonare i risultati. Circa 1.500 studenti delle classi prime e delle quinte sono stati interrogati sul loro uso di alcol: sul consumo quotidiano è emerso che il 39,7 per cento dei maschi delle prime beve ogni giorno a fronte del 30,3 per cento delle femmine, mentre per le quinte i maschi salgono al 51,4 per cento e le femmine scendono al 23,8. Confrontando con le cifre di vent'anni fa si nota che c'è stato un aumento dei consumatori, soprattutto delle femmine, oltre che del consumo di alcol fuori pasto, proprio con il mero scopo di ubriacarsi. Secondo alcuni dati dell'Istituto superiore della sanità i giovani tra gli 11 e 18 anni consumano in primis birra, poi altri tipi di alcolici (aperitivi, amari e superalcolici) e in terza battuta vino. Nella fascia d'età superiore, tra i 18 e i 24 anni, il consumo di altri alcolici cresce enormemente, superando seppur di poco quello di birra, mentre il vino resta al terzo posto. La terza categoria di alcoldipendenti individuata dal direttore dello Smi di Ospitaletto riguarda le persone che consumano alcol con la cocaina: l'alcol è assunto prima, per disinibire, e poi per sedare effetto della cocaina, cioè come modo per nascondere il fatto di aver assunto la «neve». In questa tipologia di poliabuso rientrano persone ai 18 ai 30 e «forse è la più diffusa», riflette Cominelli.
COME USCIRE DA questa dipendenza? Il primo passo, e anche il più arduo, è ammettere di avere un problema con l'alcol. «Sembra una banalità, ma non lo è», precisa Cominelli, che poi spiega il metodo d'azione del suo centro, articolato in vari livelli. Dapprima c'è la fase della disintossicazione, che avviene nelle cliniche di Rivolta D'Adda (Cremona) o di Arco (Trento), poiché «la nostra provincia non è attrezzata, salvo per qualche raro caso affidato al Fatebenefratelli di Brescia». La disintossicazione prevede un ricovero di una quarantina di giorni, con una prima settimana di flebo per ripulire il corpo e poi farmaci e terapie di gruppo. Una volta disintossicate, le persone vengono mandate allo Smi, dove si distingue tra chi ha ancora lavoro e una famiglia di sostegno e chi invece no. Per le prime, lo Smi predispone un percorso dai 6 ai 18 mesi, con colloqui settimanali e supporto farmacologico, che può essere di due tipi: per i più consapevoli e forti con l'antabase, farmaco antagonista che provoca cioè malessere se assunto assieme ad alcol; altrimenti si somministra l'alcover, che è un sostitutivo, come il metadone per gli eroinomani. Per chi è senza sostegni sociali o familiari c'è la comunità, come per i tossicodipendenti: «In Lombardia ce ne sono circa 120 per 2.500 posti letto», ricorda il direttore dello Smi, con programmi di sola accoglienza, della durata di 90 giorni, oppure completi di 18 mesi. In alternativa alla comunità ci sono i cosiddetti moduli, strutture specifiche per l'alcolismo per un massimo di 8 persone. In Lombardia ce ne sono una trentina, «mentre Brescia, con i suoi 5 o 6 moduli, è carente anche in questo, oltre che nelle strutture per la disintossicazione», valuta Cominelli.
I COSTI PER TUTTI i servizi sono a carico dell'Asl, «ma restano grossi problemi finanziari soprattutto nel campo della prevenzione - lamenta ancora il direttore dello Smi -: noi partecipiamo volentieri a programmi di prevenzione, se ci sono finanziamenti appositi; altrimenti preferiamo investire nella cura, anche se più si informa meglio è, dato che con spot o campagne episodiche non si risolve nulla, soprattutto per un settore, come l'alcoldipendenza, altamente sottovalutato: nelle famiglie ci si preoccupa se il figlio torna a casa con gli occhi rossi da canna. ma non ci si allarma se torna ubriaco: l'alcol non è considerato una droga». E per sensibilizzare le famiglie, lo Smi ha realizzato un dvd dal titolo «Adolescenza stupefacente. Genitori tra giovani e droga», presentato all'inaugurazione della sezione di Rezzato.
Irene Panighetti