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La dipendenza dall’alcol è una vera malattia

La dipendenza dall’alcol è una vera malattia

 

La dipendenza dall’alcol è una vera malattia. Ma la si può sconfiggere

 

Meccanismo d negazione

Il primo passo? Superare la tendenza a credere che bere troppo non sia un problema, come sottolinea Marco Pistis, membro del direttivo SIF e docente di farmacologia dell’Università di Cagliari: «Il meccanismo di negazione è molto radicato, così il numero di pazienti non trattati è molto maggiore rispetto a quelli che chiedono aiuto. Per aumentare la consapevolezza però servirebbe ridurre lo stigma attorno all’alcolismo: tutti dovrebbero capire finalmente che si tratta di una patologia, non di un vizio. Chi beve non se l’è cercata».

 

Serve una diagnosi

Il «disturbo da uso di alcol» (così è definito l’alcolismo nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, proprio per farlo suonare meno colpevolizzante) non passa con le prediche insomma, serve una diagnosi precisa e una terapia altrettanto specifica; la dipendenza che si instaura in chi fa un uso problematico di alcol è una malattia, vietato credere che se ne possa uscire da soli o il percorso sia facile.

Il test

«L’alcol è una sostanza legale e questo complica le cose fin dal momento della diagnosi», interviene Sarah Vecchio, consigliere della Società Italiana di Tossicologia e tossicologa del Ser.D. – Patologia delle dipendenze della ASL di Biella. «Tanti non capiscono quando è il momento di chiedere aiuto, invece identificare precocemente il disturbo da uso di alcol è fondamentale perché la dipendenza ha un impatto enorme sulla salute e sulla qualità di vita del paziente e dei familiari. Chi ha il dubbio di esagerare può sottoporsi al test C.A.G.E., quattro semplici domande a cui rispondere facendosi un breve esame di coscienza (si veda grafica): se il risultato indica che il modo di bere è problematico è bene parlarne al proprio medico».

La disintossicazione

«Allontanare il paziente dalla fase acuta dell’abuso è relativamente semplice, con farmaci sostitutivi che lo disintossicano e lo mantengono sobrio; la vera sfida è evitare la ricaduta settimane, mesi o anni dalla prima disintossicazione», osserva Roberto Ciccocioppo, membro SIF e farmacologo dell’Università di Camerino. L’intervento deve essere comunque gestito dagli specialisti dei centri per le dipendenze e valutato caso per caso, perché per alcuni potrebbe essere necessario anche un ricovero per arrivare all’astinenza.

I farmaci

In questa fase sono utili i farmaci: «Il disulfiram per esempio viene dato perché se durante la terapia il paziente beve compaiono nausea, vomito e disturbi che lo portano a evitarne il consumo, perciò si rafforza l’astinenza», dice Pistis. «Poi si usano antagonisti degli oppioidi come il naltrexone, che servono a ridurre il desiderio di bere». Anche altri principi attivi sono efficaci, come l’acamprosato che diminuisce la voglia di alcol o i medicinali che aiutano il paziente a superare ansia e depressione associate all’alcolismo (ma occorre fare attenzione perché alcuni, come le benzodiazepine, aumentano il rischio di ricadute).

La psicoterapia ei gruppi di auto-aiuto

«I farmaci non sono però l’unico strumento, servono anche psicoterapia e interventi cognitivo-comportamentali con sedute individuali e di gruppo; qualsiasi forma di aiuto oltre ai farmaci è utile, perché nessuna strada basta da sola e le relazioni sociali e familiari, per esempio, sono indispensabili per uscire dalla dipendenza» precisa Pistis. Sì quindi ai gruppi di auto-aiuto e a qualsiasi intervento che tenga il paziente lontano dalla bottiglia, aiutandolo a sopportare le crisi di astinenza che nel caso dell’alcol sono terribili e perfino pericolose perché oltre a tremori, sudorazione, ansia e depressione si possono avere panico, delirio e allucinazioni che possono portare a gesti azzardati. Per migliorare i risultati della disintossicazione, poi, i farmacologi sono alla ricerca di cure per aiutare ad arrivare all’astinenza prolungata, come spiega Pistis: «Si stanno studiando sostanze che agiscano sui neuroni responsabili del desiderio incontrollato e sul sistema cannabinoide endogeno, che viene modificato dall’uso di alcol, ma siamo lontani dall’applicazione in clinica».

Le nuove terapie

Si sta pure tentando la strada della terapia magnetica transcranica, la stimolazione elettromagnetica di aree della corteccia cerebrale per riorganizzare le trasmissioni fra cellule del cervello e migliorare così la capacità di autocontrollo: già usata per la dipendenza da cocaina, potrebbe in futuro essere applicata anche all’alcol ma servono ulteriori ricerche per verificarlo.

 

Le ricadute

E la lotta più difficile inizia una volta raggiunta l’astinenza: non ricascarci è la vera scommessa. «La dipendenza da alcol è una malattia cronica recidivante e l’alcol modifica la neurobiologia del cervello, specie il sistema della gratificazione: alcuni meccanismi di controllo della pulsione a bere sono compromessi e anche se con l’età il rischio di ricadute scende, il pericolo c’è sempre», fa notare Vecchio. «L’alcol, essendo legale, si trova ovunque, così resistere alle tentazioni è arduo, soprattutto se non si sono capiti e risolti i fattori che avevano portato alla dipendenza. Rivediamo di più gli alcolisti che i tossicodipendenti da droghe, uscirne è difficile e non ci si riesce da soli, con la sola forza di volontà. Che è indispensabile per iniziare il percorso, ma per guarire definitivamente non basta. E chi è stato alcolista deve sempre tenere le antenne dritte, sapere di essere più fragile e poterci ricascare».

I giovani e il binge drinking
Vino, birra e altri alcolici si assaggiano sempre prima. Stando al Ministero della Salute il 47% dei 16-17enni maschi e il 34,5% delle loro coetanee hanno un comportamento a rischio in merito all’utilizzo di alcolici: bevono e non dovrebbero, perché fino a circa 20 anni i sistemi che servono a metabolizzare l’alcol sono immaturi e gli effetti negativi risultano amplificati. In più spesso i ragazzi cedono al binge drinking, le abbuffate da fine settimana di cocktail e drink vari (22% dei maschi e 11% delle ragazze fra 18 e 24 anni). «È il modello nordeuropeo, in cui si beve tantissimo ma in poche occasioni, come nel fine settimana — osserva la tossicologa Sarah Vecchio—. I ragazzi oggi usano l’alcol come una droga, ne consumano in grandi quantità e così vanno incontro anche alle conseguenze acute del bere».

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/20_giugno_20/dipendenza-dall-alcol-vera-malattia-ma-si-puo-sconfiggere-e9390fb2-a412-11ea-b19d-c124828d4b5b.shtml

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)