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Food addiction e neuroscienze

Food addiction e neuroscienze

Food addiction e neuroscienze

Angela Alampi (Psicologo clinico, Istituto per lo studio delle psicoterapie)

Quando si parla di “Food Addiction” ci si riferisce a una particolare tipologia di dipendenza comportamentale, facente parte della categoria delle cosiddette “nuove dipendenze” (o “new addictions”). La “Food Addiction” è caratterizzata da una sintomatologia che si manifesta in maniera cronica, persistente e ripetitiva, al punto da compromettere la qualità del funzionamento delle svariate sfere di vita della persona affetta. In particolare, la dipendenza da cibo prende forma a partire da una serie di fattori che si susseguono ciclicamente, originando un circolo vizioso da cui la persona non può liberarsi facilmente: l’assenza o la perdita di controllo sugli impulsi che stimolano la ricerca ed il consumo del cibo; la messa in atto di comportamenti impulsivi e compulsivi; una condizione di elevata eccitazione, euforia e piacere derivante dall’attuazione dei comportamenti; l’impossibilità di prolungare la sensazione di sazietà, la quale comporta un aumento del desiderio di cibo o di stimoli ad esso correlati (ad esempio, gli odori, i sapori, etc.) e la conseguente messa in atto di comportamenti ripetitivi volti a soddisfare il bisogno di consumarlo.

La “Food Addiction”, dunque, risulta avere una comunanza di dinamiche e fattori con le altre forme di dipendenza, a partire dalla dipendenza da sostanze. Si ritiene che alla base delle dipendenze comportamentali, tra cui la dipendenza da cibo, vi sia l’alterazione di tre sistemi funzionali che danno vita al cosiddetto “processo additivo” e che vengono indagati dalle tecniche di neuroimaging (PET, RM funzionale, SPECT): il sistema di motivazione-gratificazione, il sistema della regolazione degli affetti e il sistema dell’inibizione comportamentale.

L’ipotalamo, alcune aree del sistema limbico (l’amigdala, l’ippocampo, il nucleus accumbens), le aree cortico-frontali e alcuni sistemi di neurotrasmettitori (la dopamina, la serotonina, gli oppiodi e i cannabinoidi) sono circuiti deputati alla modulazione dei meccanismi di motivazione, di ricerca attiva, di consumo e di gratificazione del cibo. Tale sistema di motivazione-gratificazione nei soggetti dipendenti, essendo alterato, provoca sensazioni spiacevoli e incontenibili a seguito dell’assunzione di cibo, elicitandone la ricerca cronica finalizzata al pieno soddisfacimento del bisogno. Gli obesi, infatti, sperimentano poco piacere e soddisfazione dopo aver mangiato rispetto alle persone con un sistema di motivazione-gratificazione nella norma, pertanto sono portati a ricercare compulsivamente maggiori quantità di cibo nel tentativo di compensare il deficit di gratificazione.

Tale deficit dipende da una ridotta disponibilità e funzionalità dei recettori dopaminergici a livello dello striato, la quale comporta un limitato rilascio di dopamina e una disfunzione delle aree cerebrali (corteccia orbito-frontale e giro cingolato) deputate all’attribuzione della salienza agli stimoli e al controllo del comportamento e delle emozioni, le quali implicano la messa in atto, da parte dei soggetti dipendenti, di comportamenti compulsivi che si concretizzano nell’eccessivo consumo di cibo e nell’acquisizione sempre maggiore di peso. Il rilascio di dopamina, infatti, tende ad essere correlato con il gradimento del cibo e con la sensazione di gratificazione e pienezza derivanti dal consumo di esso: una limitata disponibilità di dopamina, pertanto, rafforza un profondo desiderio (craving) di mangiare ed il comportamento di assunzione di cibo in quantità sempre maggiori. L’alterazione della funzionalità dello striato potrebbe causare e rafforzare la sintomatologia manifestata nelle persone affette da disturbi alimentari, come ad esempio l’eccessiva preoccupazione per la propria forma fisica e per il proprio peso, contribuendo al mantenimento e all’intensificazione dei comportamenti disfunzionali.

L’alterazione del sistema di regolazione degli affetti e delle emozioni comporta la messa in atto, da parte della persona dipendente, di condotte volte ad evitare le emozioni dolorose percepite come intollerabili ed ingestibili. Gli obesi riconoscono spesso di ingerire ingenti quantità di cibo nel tentativo di fronteggiare sentimenti ed emozioni negative e dolorose, come se stessero applicando una forma di auto-terapia. Il mangiare definito “emozionale” risulta correlato ad un aumento delle sensazioni piacevoli e gratificanti legate al desiderio di cibo e, solo in un secondo momento, al suo consumo. Attraverso tecniche di neuroimaging funzionale è stato mostrato come alcuni stimoli legati al cibo, quali l’odore, il sapore e/o l’aspetto, comportino l’attivazione dell’area cerebrale dell’amigdala e, di conseguenza, l’attivazione della distensione gastrica, rinforzando la ricerca di cibo e di quella sensazione soggettiva di sazietà costantemente perseguita.

I dipendenti da cibo, dunque, presentano una minore attivazione delle regioni cerebrali deputate alla ricompensa quando ricevono del cibo e una più elevata attivazione delle medesime aree cerebrali dopo essere stati esposti a stimoli associati al cibo. L’esposizione a stimoli correlati al cibo, infatti, tende ad aumentare i livelli di dopamina all’interno dello striato e ciò elicita il desiderio di cibo e l’attivazione comportamentale finalizzata al suo ottenimento. Grazie agli studi di neuroimaging è stato possibile osservare che sia nella “Food Addiction” sia nelle altre tipologie di dipendenze comportamentali si assista alla modifica delle medesime aree cerebrali e agli stessi meccanismi compulsivi di soddisfacimento del bisogno conseguentemente all’esposizione di stimoli ad esso associati.

(...omissis...)

 

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.behavioraladdictions.it/en/food-addiction-neuroscienze/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)