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Internet Addiction: l'Hikikomori entra nel vocabolario e nella realtà italiana

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L' Hikikomori entra nel vocabolario e nella realtà italiana

Tra i neologismi del nuovo Zingarelli 2013 colpisce l’acquisizione ufficiale nel lessico quotidiano del termine Hikikomori. Solamente pochissimi anni fa quasi nessuno ne conosceva il significato, proprio perché si riferiva a una realtà adolescenziale relegata unicamente alla società giapponese. 
L’ Hikikomori (indica appunto lo stare in disparte, l'isolarsi) è un ragazzo che volontariamente vive recluso nella propria camera da letto, rifiutando ogni contatto con amici e familiari e passando le proprie giornate davanti a un computer connesso in rete. Spesso vive come un clochard tra i propri rifiuti, di giorno dorme oscurando le finestre, la notte è impegnato, con altri suoi simili, sui social network o in interminabili sessioni multiplayer. I primi casi accertati di sospetti Hikikomori furono segnalati in Italia tre anni fa, si pensava che il fenomeno dei reclusi volontari in camera da letto fosse un esito della cultura e società giapponese, ma invece anche nel nostro paese fenomeni analoghi cominciarono a destare preoccupazione. 

Antonio Piotti, uno psicoterapeuta dell’ “Istituto di analisi dei codici affettivi Il Minotauro” di Milano, intervistato da La Stampa nel marzo 2009, aveva raccontato di occuparsi già da qualche anno del fenomeno e di aver avuto varie richieste di aiuto, soprattutto dai genitori di una ventina di ragazzi auto reclusi in camera. Piotti pensava al tempo che il rapporto del figlio maschio con la madre fosse la costante che rendeva più simile la nostra società a quella giapponese: “In Giappone si tratta di una problematica sociale molto grave, si parla di un milione di giovani che si sono reclusi, da loro è normale che un figlio maschio resti in famiglia anche dopo i trent’anni e le madri si occupano molto di loro.” Mamma apprensiva e padre assente, perché fagocitato dal lavoro, erano state identificate come le costanti familiari dell’ Hikikomori. Di solito è un primogenito maschio, spesso figlio unico su cui la famiglia, con spesso entrambi i genitori laureati, pone molte attese, forse troppe, infatti il primo sintomo della patologia è il disagio scolastico. 

Solo tre anni fa non sembrava possibile prevedere quanto nel nostro paese si sarebbe potuta sviluppare questa sindrome, che nasce da un senso d’inadeguatezza dell’adolescente rispetto alle mode correnti o agli stili giovanili che segnano il successo. Il ragazzo s’imprigiona in camera perché solo nel mondo epico dei giochi di ruolo on line, o quello delle relazioni che passano per il suo computer, può gestire un’esistenza che non lo faccia sentire un meschino, come nella vita reale. 
A giugno un primo segnale concreto sulla consistenza del fenomeno alle nostre latitudini fu lanciato da Donatella Marazziti, una docente di Psichiatria dell’Università di Pisa, che richiamava l’attenzione sulla crescita degli Hikikomori italiani: “Si tratta di una delle forme emergenti di dipendenza che sta lievitando, purtroppo, e che spesso viene confusa con situazioni psicopatologiche diverse. Una dipendenza che va affrontata e prevenuta innanzitutto attraverso la conoscenza del fenomeno, che è invece ancora sottaciuto.” 

Un allarme ancora più deciso sugli Hikikomori di casa nostra è stato lanciato una settimana fa a Milano, in occasione del 46° Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria. Sarebbero tre milioni gli italiani colpiti da un disturbo psicologico che li costringe a isolarsi dal mondo nello stile degli Hikikomori giapponesi. L’incidenza del disturbo colpirebbe dal 3 all’11% della popolazione, con una prevalenza per i maschi dai 15 ai 40 anni, resi dipendenti dalla frequentazione compulsiva dei casinò online e i siti pornografici.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)