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Ludopatia, in Italia è ancora sottostimata

Ludopatia, in Italia è ancora sottostimata

Il fenomeno ludopatico in Italia è ancora sottostimato: i numeri che dovrebbero far riflettere

La ludopatia, nel XXI secolo, è una malattia di cui si sa poco, almeno in Italia. Nel nostro Paese, infatti, manca una casistica specifica a riguardo. Non esistono banche dati, né numeri certi per quel che riguardano i malati. Chi ne è affetto, infatti, fa i conti con un sentimento che va oltre la voglia di farsi aiutare: la vergogna.  Il paradosso di tutto ciò è che esistono numerosi studi riguardo questo fenomeno, ma, nessuno di questi, ha mai portato a terapie certe, né è riuscito a scavare nel profondo del problema.

Molti psicologi sono concordi nel definire il ludopata come un “malato sociale” che spesso, al gioco, associa un’altra patologia più grave (come la depressione), ma meno visibile. In linea generale chi è affetto da questa patologia è spinto a giocare, nella sua fase iniziale, dalla voglia di provare una scarica di adrenalina. Da questo punto di vista, il soggetto non è diverso da un pilota di formula 1 o di MotoGP. E’ il brivido, più che il bisogno di denaro a spingerlo. Prova eccitazione, nel momento in cui punta e un attimo prima di sapere se ha vinto o meno. Sono questi i momenti in cui il suo corpo riceve la massima soddisfazione. L’euforia della vittoria, invece, è una fase transitoria che viene subito sostituita dal bisogno di una nuova puntata.

Anche il DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), indica l’eccitazione come la prima fase che attraversa chi si approccia al gioco. Secondo questo manuale, il ludopata, è assimilabile ad un drogato. Giocare è la sua eroina e, per questo, va in crisi quando non può puntare, come se fosse in crisi di astinenza. La depressione è un altro stato d’animo che vive il giocatore. Si verifica quando il soggetto inizia a perdere. Molti sociologi affermano che, in questa fase, il gambler associa la sconfitta al gioco a quella nella vita reale. Il paziente inizia a vedersi come un fallito totale e a puntare sempre più per cercare di riscattarsi socialmente.  Vi è, dunque, una sorta di trasposizione tra mondo reale e ludico, da cui i malati non riescono più a uscire. Il mondo del gioco, diventa una sorta di vita parallela, dove trovare quelle soddisfazioni che non si hanno nella realtà. Per questo il successo non è un’opzione, ma un obbligo.
Questa immedesimazione conduce per forza di cose all’isolamento. Il soggetto e inizia a perdere il contatto con i suoi cari, non va più a lavoro e perde di vista le sue priorità.

Attualmente in Italia sono stati accertati 900.000 casi di ludopatia. Questo trend, come spiega lo psichiatra Federico Baranzini, “èin continua crescita soprattutto a causa del web, dove non solo accedere al gioco d’azzardo è più facile, ma dove è anche più semplice nascondersi agli occhi degli altri.” Ciò che colpisce è soprattutto la diseguaglianza che c’è tra persone affette dal problema e malati in cura. Questi, infatti, sono circa 7.000.

Una recente indagine del CNR sul gioco in Italia ha portato alla luce dati ancora più allarmanti su questo argomento. Il 14,6% dei giocatori a rischio dipendenza, mentre cresce a macchia d’olio la popolarità del gioco d’azzardo tra i giovani con età compresa tra i 14 e i 17 anni. Inoltre, un milione di studenti, per lo più minorenni, ha giocato almeno una volta somma di denaro negli ultimi 12 mesi.
Lo sviluppo della rete dei giochi online ha contribuito a questo boom, ma vi è anche un problema culturale che tocca da vicino la famiglia. Troppo spesso, infatti, i genitori, non effettuano alcun tipo di controllo su ciò che fanno i loro figli in rete e, anzi, sono loro stessi a spingerli fin dalla più tenera età ad esplorare la “ragnatela mondiale”. Questo li mette da subito a stretto contatto con una realtà da cui dovrebbero stare lontani. 

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.laltrapagina.it/mag/il-fenomeno-ludopatico-in-italia-e-ancora-sottostimato-i-numeri-che-dovrebbero-far-riflettere/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)