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Dipendenze: parla lo psichiatra Henri Margaron

Dipendenze: parla lo psichiatra Henri Margaron

Dipendenze: parla lo psichiatra Henri Margaron

L’esperienza insegna - e gli studi scientifici lo confermano - che, in determinate condizioni, è possibile diventare dipendenti da qualsiasi cosa, da qualsiasi esperienza e da qualsiasi comportamento. La ricerca di sostanze o esperienze appetibili capaci di alterare lo stato di coscienza, di operare il cambiamento della percezione di sé e dell’ambiente circostante, costituisce il nucleo fenomenologico comune alle varie forme di dipendenza.  

L’area delle dipendenze patologiche si ingrandisce sempre di più a partire dalle classiche tossicodipendenze fino alle nuove droghe, dall’alcolismo, le dipendenze da cibo e da alcuni alimenti a quelle sessuali, dalle dipendenze da shopping al gioco d’azzardo compulsivo e al lavoro eccessivo fino alle dipendenze tecnologiche (da televisione, videogiochi, internet e social network). Un altro campo riguarda le dipendenze affettive e relazionali ed alcuni aspetti del funzionamento perverso (tra gli psicoanalisti, Cohen, nel 1992, ha parlato di perversione e specialmente di perversità, per riferirsi al maltrattamento di una persona da parte di un’altra; l’Autore ha sostenuto che le persone che maltrattano gli altri per evitare la responsabilità dei propri conflitti interni tendono a diventare dipendenti dalle loro vittime) e finanche la corruzione, come avverte Papa Francesco («Qualcuno» ha spiegato il Papa durante l’Angelus del 18/09/2016, «si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua e una tangente di là. E tra questa e quella, lentamente perde la propria libertà»).  

Approfondiamo alcune dinamiche alla base del fenomeno delle dipendenza con il dottor Henri Margaron, medico psichiatra, autore di libri di divulgazione (Le stagioni degli dei. Storia medica e sociale delle droghe, Cortina Raffaello, 2001, Le droghe spiegate a mia figlia, Feltrinelli, 2012; L’homme émotionnel, Harmattan, 2013). Per oltre 20 anni alla guida del dipartimento Dipendenze dell’Ospedale di Livorno, Margaron, nel 2007, è stato nominato membro della Consulta del Ministero della Salute per le tossicodipendenze mentre risale al 1995 la sua adesione al Comitato di esperti internazionali in materia di “Addiction”, istituito dalla Direzione generale della Commissione europea.  

Partiamo dalla definizione: quale sostanza può essere definita “droga”?  

«Ci sono tanti tipi di droga, dall’alcol ai videogiochi, dagli spinelli a Facebook. Una droga è “tutto ciò che esercita su di noi il suo incantesimo”». 

La proposta di legge per la legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo che verrà discussa prossimamente, solleva molte perplessità e dure contestazioni.  Quali sono le sue riflessioni?  

«Probabilmente per le difficoltà a spiegare gli effetti delle droghe sul cervello ed il modo in cui possono alterare i nostri comportamenti per condurre alla dipendenza, il dibattito attuale è centrato sulla lotta alla criminalità e poco sui vantaggi per la salute che potrebbero derivare da una legalizzazione. Gli argomenti avanzati dai sostenitori sono sicuramente condivisibili ma non riescono a scalfire la resistenza degli oppositori, convinti che tale provvedimento possa minacciare la salute dei propri figli. Il loro timore si basa sulla opinione diffusa che le droghe possano alterare delle funzioni cerebrali. Per cui se per gli antiproibizionisti il rischio è trascurabile, per gli altri tale rischio giustifica la severità con la quale si tenta di impedire ogni contatto con le droghe. Ma siamo sicuri che le cause della dipendenza siano da ricercare in queste dinamiche e che la proibizione sia la soluzione più efficace per evitare questo rischio?» 

Può spiegarci brevemente quali meccanismi neurobiologici entrano in gioco nell’instaurarsi di una dipendenza patologica?  

«Ci sorprendiamo continuamente a riflettere ed i nostri gesti rispondono sempre a scopi precisi, eppure il cervello non dispone di strutture per analizzare, riflettere ed elaborare delle risposte. L’affermazione può sembrare paradossale, In realtà non siamo mai riusciti a localizzare queste strutture, per cui alcuni ipotizzano l’esistenza di “organizzazioni metafisiche” come la coscienza, la mente o la psiche, delle quali non siamo in grado di definire il rapporto con il cervello e le loro funzioni. In queste condizioni è difficile stabilire quali sono veramente i danni provocati dalle droghe e valutare i rischi che possono condurre ad una condizione di dipendenza. Per riuscirvi dobbiamo capire prima di tutto come, in assenza di strutture o di organizzazioni ad hoc, possiamo adattarci alle differenti situazioni. 

Contrariamente a quanto lascia pensare la complessità delle operazioni che consente di compiere, il cervello è composto da cellule estremamente banali, i neuroni. Queste cellule conducono direttamente le informazioni che provengono da ogni parte dell’organismo e dal contesto grazie agli organi di senso, ai neuroni motori che comandano tutti i movimenti, le forme di attività dell’organismo. L’informazione che veicolano è semplicemente una corrente elettrica chiamata potenziale di azione che viaggia lungo tutta la cellula per provocare la liberazione di molecole chiamate trasmettitori, le quali vanno a fissarsi sul neurone successivo per inibirlo o attivarlo (questa articolazione tra i neuroni è definita sinapsi). Le cellule neuronali non hanno altre funzioni che attivare o inibire quelle con le quali entrano in contatto. Non vi sono altre forme di mediazione trai neuroni che portano l’informazione e quelli motori se non altre cellule simili raggruppate in strutture associative, il cui ruolo è creare delle serie di collegamenti tra le varie fonti d’informazione e le vie motorie».  

Questa organizzazione così essenziale è tutt’altro che banale.  

«Non è banale se pensiamo che ogni neurone stabilisce mediamente 10.000 connessioni ed è coerente con la nostra natura e la nostra missione. Non siamo degli angeli scesi dal cielo con in dote qualche strumento particolare, ma semplicemente degli organismi biologici e in quanto tali siamo sottoposti alla missione di tutti gli organismi biologici: stabilire in ogni momento il migliore equilibrio possibile con il contesto in funzione delle proprie condizioni e delle circostanze, per sopravvivere, crescere e riprodurci. Per portare a termine questa missione, l’organismo può mettere in atto due grandi strategie, l’apertura/avvicinamento quando i suoi bisogni lo spingono a rivolgersi all’ambiente e la chiusura/evitamento quando è stanco o minacciato. Possiamo osservare queste due strategie nel neonato quando grida e gesticola appena qualcosa altera il suo equilibrio».  

Come possono le gesticolazioni trasformarsi in comportamenti intelligenti, morali o coscienziosi ed i gridi in pianti, sorrisi e parole senza il ricorso a strutture di natura particolare?  

«Per iniziare dobbiamo presentare una piccola struttura chiamata nucleus accumbens che misura automaticamente il piacere ricavato da ogni esperienza. Va premesso che il piacere o la gratificazione non è una condizione in sé che potremmo trasferire da una persona all’altra. In un organismo che può solamente modificare il suo rapporto con il mondo, il piacere è semplicemente la sensazione provocata dai miglioramenti che seguono un comportamento (o dall’avere evitato un pericolo). Quindi il nucleus accumbens “valuta” questa differenza attraverso una forma di automatismo. Più le condizioni dell’organismo migliorano e più aumenta il rilascio di dopamina (un neurotrasmettitore e neuromodulatore) all’interno delle sue sinapsi. Quando la quantità di dopamina tende a diminuire questa struttura, per riattivare il comportamento, esercita una pressione proporzionale alla quantità di dopamina inizialmente liberata. In altre parole più un comportamento è stato positivo per l’equilibrio tra l’organismo ed il contesto e più il nucleus accumbens spinge per riattivarlo, quando se ne presentano le condizioni. Con la ripetizione di un comportamento tutte le sinapsi coinvolte sia nelle aree motorie sia in quelle percettive ed associative si rinforzano. Si creano così dei legami privilegiati tra questi neuroni per cui se uno di loro è nuovamente stimolato potrà più facilmente riattivare gli altri. In altre parole il cervello non analizza e non elabora, ma stampa le esperienze che vive l’organismo per restituirle come soluzioni quando si ripresenta una situazione analoga».  

In tale contesto, come spiegare l’evoluzione del linguaggio?  

«Le parole con le quali forgiamo i nostri pensieri nascono dal bisogno di comunicare all’interno di una comunità che ha costruito con dei suoni un codice arbitrario per nominare persone, oggetti, sensazioni o azioni. Senza le parole possiamo capire gli altri solamente perché la percezione di una loro reazione ne scatena una simile in noi. Con le parole possiamo arricchire di dettagli i nostri racconti, riferire situazioni passate o future e riflettere su fenomeni non accessibili ai nostri sensi. Questo è possibile in quanto le parole hanno dei legami sinaptici privilegiati sia con gli aspetti della realtà che rappresentano sia tra loro, all’interno di reti neuronali particolari che Noam Chomsky chiama “grammatica universale” e Steven Pinker “dispositivo innato del linguaggio”. Concludendo, non abbiamo in dote una coscienza, una ragione, un libero arbitrio, una morale o delle strutture cerebrali particolari, abbiamo invece la capacità di comportarci in modo intelligente, morale, riflessivo. Queste capacità si modellano sulle esperienze quando sono fonte di gratificazioni». 

Con il supporto della biologia e delle neuroscienze possiamo ora comprendere gli effetti delle droghe ed il modo in cui possono condurre ad una condizione di dipendenza.  

«Queste sostanze agiscono sulle sinapsi di alcuni neuroni per attivarli o inibirli permettendo all’organismo di migliorare le proprie condizioni e/o le capacità di relazionarsi con gli altri in certe situazioni. Una volta conclusa l’esperienza e svaniti gli effetti della sostanza, il ricordo sarà legato ad una sensazione piacevole. In un panorama di esperienze segnate da sentimenti di frustrazione o insofferenza, la sensazione di piacere sarà molto più forte e il desiderio (e/o la spinta del nucleus accumbens) di ripetere l’esperienza con la droga sarà più pressante.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.lastampa.it/2016/09/21/scienza/galassiamente/dipendenze-parla-lo-psichiatra-henri-margaron-ovyrwYP1xIrY0IVBgfThHK/pagina.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)