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Quando vivere sui social è un’illusione di vita: i rischi della dipendenza

Quando vivere sui social è un’illusione di vita: i rischi della dipendenza

Quando vivere sui social è un’illusione di vita: i rischi della dipendenza

Esistono prevenzioni sicure per ridurre la vulnerabilità dei nostri ragazzi alla dipendenza dai social? Dipendenza che li rende più vulnerabili al fallimento nella vita? Chi ne usa più di tre (“abuso di social”) è molto più a rischio su molteplici fronti. Secondo una ricerca recente, fumo: 15% contro 44,6% dei social-users; uso di cannabis: 2,8 contro 11,8%; vino: 37,7% verso 52,2%; birra: 36,3 vs 60%; liquori: 14,2 vs 30,8%; ubriacature: 4,9 vs 21,7.

Tanto social vuol dire allarme rosso per la crescita sana di un figlio: perché significa poca vita reale. Significa poco sport, pochissimo studio, zero lettura, scarsissima cultura, abbandono della scuola e perdita di futuro. Significa entrare di fatto nella preoccupante generazione Neet (Not Engaged in Education, Employment or Training) fatta di ragazzi che non si impegnano nello studio, nel lavoro o nella formazione. Destinati con rare eccezioni a restare ai margini della società, depressi, arrabbiati, frustrati o aggressivi, spesso autodistruttivi, come si vede dall’aumentata vulnerabilità all’abuso di sostanze neuroattive (droghe e alcol) che ne compromettono ancora di più le capacità intellettive ed emozionali. Quasi due milioni, in Italia: numero da brivido.


Che cosa fa vostro figlio/a: studia, lavora, è in formazione? Se la risposta è no, e vive sui social, l’allarme dei genitori dovrebbe essere alto.

E non basta incolpare la società contemporanea. Bisogna agire. Anche perché la dipendenza dai social significa anche rischio elevato di cyberbullismo, che nelle fasi iniziali può essere provocato da un comportamento disinibito dell’adolescente, che pur di avere i famosi “mi piace” si spoglia o si esibisce, con rischi pesanti e, a volte, tragici.

La solitudine è la prima potente causa della dipendenza dai social. Cosa è mancato nelle vite di tanti ragazzi che trovano nei social quell’illusione di relazioni affettive che non hanno avuto, di fatto, nella vita reale? La presenza, l’attenzione affettuosa: sono orfani emotivi. Ripensate alla conversazioni di ieri con i vostri figli: quante sono state emotivamente intense, significative? E quante pure comunicazioni di servizio: ”Dove sei andato? Hai studiato?”.

Oppure rimproveri, ma senza possibilità costruttive: “Perché sei stato/a fuori tutte quelle ore?! Possibile che non ti fai mai trovare?! Sei capace di tornare per il pranzo almeno alla domenica, invece di lanciarti sul frigo quando ti pare? Questa casa non è un albergo!!! E riordina le tue cose, sono stufa di farti da colf!”. E così via. La sensazione che ne deriva può essere molto pesante. Alcuni ragazzi lo dicono chiaramente: “Non esisto nel cuore dei miei genitori, sono sempre troppo impegnati in altro”; “La mamma urla e basta”; “Se sto male, non se ne accorgono nemmeno”. “Stavo seriamente pensando di uccidermi: se ne è accorta mia nonna, che stavo male, mica mia madre! Con mio padre poi, da quando si sono separati lo vedo poco. E non ci diciamo niente che conti...”.


Senza ascolto, senza dialogo vero, con le antenne del cuore attive, un figlio si sente solo. Ascolto non significa interrogatorio. Nell’ascolto, c’è prima di tutto una disposizione d’animo, prima che di orecchi, una disposizione emotivamente affettuosa, prima che cognitiva.

 

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://www.ilgazzettino.it/blog/passioni_e_solitudini/vita_sui_social_illusione_vita-2017124.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)