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Ortoressia: quando l'ossessione per il benessere diventa patologia

Ortoressia: quando l'ossessione per il benessere diventa patologia

ORTORESSIA E ZERO ALCOL, QUANDO L'OSSESSIONE PER IL BENESSERE VI ROVINA LA VITA
Con una battuta: l’alcol allunga la vita, il Tofu ve l'accorcia. Si chiama Ortoressia, è l’ossessione per il cibo sano, che solo in Italia colpisce 300mila persone. Porta a danni fisici, anche permanenti, ed esclusione sociale. Come si scopre? Se non vi fidate dei ristoranti è un pessimo segnale


Quando mangiate fate attenzione ai colori di cosa c’è in tavola? Il pensiero del cibo vi preoccupa più di tre ore al giorno? Al supermercato vi capita di sentirvi confusi? Spesso mangiate da soli?


Se avete risposto di sì a tutte e quattro le domande allora siete malati: si chiama Ortoressia e si tratta di una psicopatologia che porta le persone a comportamenti maniacali nei confronti della ‘‘sanità’’ del cibo.


Il termine è stato coniato nel 1997 da Steve Bratman, dietologo californiano che si definisce un ex-ortoressico. Voleva indagare la propria condizione personale ma anche le manie alimentari che si sono diffuse proprio sul finire del secolo scorso, dopo gli scandali più o meno gonfiati, della mucca pazza e, qualche anno dopo, dell’aviaria.


"Fate attenzione ai colori del cibo? Mangiate spesso da soli perché non vi fidate dei ristoranti? Non vi dovete preoccupare (o forse sì), siete solo malati di ortoressia. In Italia sono trecentomila i fondamentalisti del cibo sano"


Gli studi sull’ortoressia sono fioccati negli ultimi quindici anni. Una delle principali ricerche è italiana: Lorenzo Donini è professore associato all’Università ‘‘La Sapienza’’, che insieme ad alcuni colleghi e ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione di Avellino, ha elaborato un questionario di 15 domande, che permette una pre-analisi sui propri comportamenti alimentari. La ricerca ha anche svelato che l’ortoressia colpisce un elevato numero di soggetti. Sui tre milioni di italiani che, secondo il Ministero della Salute, soffrono di disturbi alimentari, ben il 10 per cento di questi sono ortoressici. Trecentomila persone nella penisola che sono ossessive nella pianificazione dei propri pasti, nel tagliare al minimo sindacale le dosi di zucchero e sale, nell’usare particolari tecniche di cottura o stoviglie.


I soggetti colpiti sono per lo più maschi, fra i 30-40 anni, con un buon livello d’istruzione – dato confermato anche dalle ricerche svolte nel Regno Unito in materia, dove emerge che gli ortoressici appartengono quasi sempre alla middle class. La British Dietetic Association spiega anche perché: sono infatti le persone istruite che s’informano sui danni potenziali dei cibi malsani, che fanno ricerche su internet – talvolta su siti dalla dubbia affidabilità – e che sopratutto hanno il tempo e il denaro per procurarsi cibi ‘‘puri’’ alternativi.


"Esistono alcuni campanelli d’allarme: uno di questi è il rifiuto generalizzato degli inviti a cena o l’incapacità di sedersi al tavolo di un ristorante o di una tavola calda"


Come ogni forma di ortodossia – da quella religiosa a quella politica – o comunque di fanatismo, anche quella alimentare non compare da un giorno all’altro, ma ha bisogno di un suo percorso di indottrinamento. Si comincia con piccole scelte, che possono anche essere condivisibili o comunque molto diffuse in Occidente, come evitare gli alimenti che sono stati trattati con pesticidi o con altri additivi artificiali. E poi non ci si ferma più: si inizia a rifiutare il grano, il glutine, il lievito, la soia, il mais, i latticini. Ci si crea una propria visione del mondo e dell’uomo per cui tutto il benessere dipende solo ed esclusivamente da cosa si ingerisce.


Dopo la negazione degli alimenti malsani si passa allo stadio successivo, che non prevede solo il rifiuto di alcuni cibi ma anche delle altre persone attorno al proprio tavolo. Gli ‘‘altri’’ diventano un pericolo igienico, possono contaminare il pasto e allora ecco che ci si rinchiude a cucinare e mangiare da soli, a volte per intere ore della giornata. E comincia la fase dell’isolamento sociale – proprio come avviene per i disturbi alimentari più noti e riconosciuti dalla comunità scientifica, come anoressia e bulimia. Con una grossa differenza: per lungo tempo gli ortoressici possono non mostrare sul corpo i segni fisici della propria ossessione – non è detto, per esempio, che si perda peso in poco tempo – il che rende ancora più difficile individuare la malattia.


Esistono però alcuni campanelli d’allarme: uno di questi è il rifiuto generalizzato degli inviti a cena o l’incapacità di sedersi al tavolo di un ristorante o di una tavola calda. Ovviamente la fiducia in qualunque chef che non sia se stessi, cala ai minimi storici. E crolla anche la fiducia negli esperti: le proprie teorie sul cibo – spesso prive di fondamento scientifico o basate su qualche best seller firmato da un guru dalla dubbia credibilità – diventano improvvisamente tavole delle leggi, mentre le polemiche verso medici e studiosi eminenti si fanno aspre.


Il prezzo che si può pagare è caro: non parliamo solo di esclusione dalla vita sociale, di perdita degli amici, ma di veri e propri rischi sanitari, a volte irreversibili: avitaminosi, osteoporosi, atrofie muscolari.


(...omissis...)


di Francesco Floris


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.linkiesta.it/it/article/2015/10/14/ortoressia-e-zero-alcol-quando-lossessione-per-il-benessere-vi-rovina-/27744/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)