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Le dipendenze comportamentali (una questione semantica?)

Le dipendenze comportamentali (una questione semantica?)

LE DIPENDENZE COMPORTAMENTALI (UNA QUESTIONE SEMANTICA?)

“Le dipendenze comportamentali da nuove tecnologie (Internet, videogiochi, gambling con video, slot-machines e videopoker) hanno conosciuto negli ultimi anni una crescente diffusione nella popolazione di tutte le età, includendo, oltre a quella giovanile, anche quella adulta e anziana”. Così apre il programma di un recente workshop di cui ho presieduto una sessione presso l’Università Cattolica di Milano.


In relazione al tema mi sono posto alcune domande: la prima riguarda una questione semantica, cioè sul significato del termine.

Perché determinate dipendenze vengono definite “comportamentali”? (Le altre non lo sono?)


Le “dipendenze comportamentali” sono da alcuni definite tali per distinguerle da quelle correlate all’uso di droghe. Altri le chiamano anche “nuove dipendenze” riferendole a “nuove tecnologie” ma, all’interno di queste, includono le dipendenze da slot-machines che hanno una storia antica. Si tratta di una storia più antica di quella della televisione che, stranamente, non viene ricordata né nelle dipendenze da tecnologie né nelle dipendenze comportamentali, quasi come se questo media non fosse (più) considerato oggetto di dipendenza. Alcuni, tuttavia, includono nelle dipendenze comportamentali anche altre forme, quali ad esempio la sex addiction, lo shopping compulsivo e la dipendenza da pornografia (Internet mediata?). Il quadro generale di cosa sia una dipendenza comportamentale, quindi, non sembra particolarmente ben definito. Noto a margine che il “comportamento” alterato appare in tutte le dipendenze patologiche. Basti pensare al tempo ed allo spazio, anche mentale, che qualunque tossicomane dedica alla droga.


Parlando di dipendenze comportamentali spesso è omesso l’aggettivo “patologiche” quasi come se la dipendenza comportamentale fosse patologica di per sé, in quanto, appunto, dipendenza.


Ogni volta che viene descritta una forma di dipendenza patologica gli “esperti” parlano di percentuali di presenza nella popolazione generale abbastanza sostenute (normalmente dal 2 al 6% della popolazione). Questo suscita, normalmente, allarmi a livello mediatico. Se consideriamo le diverse forme di dipendenza descritte poiché, evidentemente, non possono essere tutte riferibili alle medesime persone, pur considerando le sovrapposizioni possibili, la diffusione di dipendenza nella popolazione generale, comprendendo quella da sostanze lecite e illecite, pare, quindi, abbastanza ampia. La necessità di definire criteri sempre più precisi e sofisticati per distinguere, ogni volta, ciò che è patologico da ciò che non lo è, tuttavia, ci suggerisce che esistono forme assimilabili alla dipendenza che non possono essere diagnosticabili come patologiche. Forse questo spiega numeri così grandi. Dipendono da come in modo più o meno estensibile vengono stimate queste situazioni.


Senz’altro spiega perché le stesse persone che ne sono affette fanno fatica a riconoscere la loro patologia. Non mentono: fanno proprio fatica a comprendere quando la situazione esce dal loro controllo.

Esistono, dunque, forme di dipendenza comportamentale “fisiologica” e, quindi, non patologica?


Dipendenze di tipo comportamentale potrebbero anche essere considerate una normale componente della nostra esistenza. Nasciamo completamente dipendenti dalla madre e moriamo dipendenti dalla vita stessa, fino a quando non ci lascia. Il resto della nostra storia è costellato di situazioni particolari in cui siamo dipendenti da qualcosa o da qualcuno. L’entrata e l’uscita da queste forme di dipendenza e l’evoluzione della nostra esperienza, che ne consegue, non possono essere considerate patologiche. Non di rado, tuttavia, coinvolgono gli stessi meccanismi neurofisiologici, per esempio nell’ambito del piacere e dell’auto-ricompensa, che sono alla base di altre forme di dipendenza, patologica. Questa sino a quando è presente, sembra, contemporaneamente bloccare la capacità evolutiva individuale e restringere progressivamente il campo di interesse all’oggetto della dipendenza stessa. Ciò almeno per quanto riguarda le persone che si rivolgono alla cura e di cui, quindi, conosciamo la storia.


Tuttavia l’inquadramento sociale ed anche sanitario di un comportamento nell’ambito della dipendenza patologica dipende da fattori diversi. Uno di questi è il grado di devianza del comportamento stesso. Un altro è il punto di osservazione del comportamento.


Per un “non nativo digitale” le ore spese da una persona più giovane in interazioni sviluppate con mezzi tecnologici potrebbero essere facilmente scambiate per una sospetta “dipendenza patologica”, perché “virtuali”. Non così le stesse ore d’interazione, magari assolutamente inconcludente, compattate e vissute in luoghi fisici, come il bar del quartiere, o i “giardinetti” di zona durante la gioventù.


Per un “nativo digitale”, invece, il mezzo tecnologico rappresenta una realtà utile per un’interazione che non è “virtuale”. La sua immediatezza, spesso fonte di un rapporto temporalmente rapido, ma molto frequente e frazionato, con l’oggetto tecnologico che risulta, all’occhio estraneo di una persona contemporanea, ma parte di una era diversa, “deviante” e di basso “valore”.


Dal punto di vista comportamentale, rispetto alle tecnologie e ai media dobbiamo, infatti, ricordare che ci troviamo di fronte per la prima volta nella storia a persone viventi e contemporanee ma appartenenti ad ere sostanzialmente diverse.


Le persone non più giovani ricorderanno, in tempi passati, gli allarmi collegati all’utilizzo del mezzo televisivo, considerato fonte di dipendenza, da chi scandalizzato, vedeva le famiglie, ogni sera, ancorate davanti allo schermo. Oggi, stranamente, non si parla più di questa dipendenza comportamentale, forse perché gran parte della popolazione l’ha vissuta e, in parte ancora la vive. Non è quindi inquadrabile come devianza.


Che cosa accadrà tra qualche anno, visto che ci stiamo muovendo verso una situazione d’interconnessione permanente e continua è ancora tutto da scrivere ma, probabilmente, i nativi digitali considereranno loro stessi e i loro figli, in modo diverso da come li considerano, oggi, i loro genitori.


Accettare che esistano dipendenze fisiologiche è culturalmente complesso perché alla dipendenza è sempre stata data una accezione negativa, soprattutto quando accostata all’uso di droghe illecite. Spesso viene considerato senz’altro patologico il comportamento visto come maggiormente deviante e considerato di minor valore.


(...omissis...)


Riccardo C. Gatti


copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.droga.net/le-dipendenze-comportamentali-una-questione-semantica/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)