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Alcol: la nuova addiction

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Alcol: la nuova addiction
Emanuele Scafato
L'alcol è il terzo fattore di rischio per morti premature e disabilità nel mondo, il secondo in Europa, che si contraddistingue come l'area

con i più rilevanti cambiamenti nei modelli di consumo alcolico rispetto agli stili e modelli tradizionali e il più elevato impatto

registrato su scala mondiale in termini di disabilità, mortalità prematura e malattia. La risoluzione dell'Assemblea Mondiale della

Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), adottata all'unanimità da 193 Stati Membri nel maggio 2011 lancia la strategia globale sull'alcol

e condivide la necessità e l'urgenza di una azione e di una articolata strategia di prevenzione. L'OMS stima che il 3,8 per cento di tutte le

morti sono attribuibili all'alcol; in Europa le prevalenze raddoppiano essendo la Regione Europea quella con il maggior consumo pro capite del pianeta.
È sempre più evidente l'impatto su patologie importanti come il cancro, le patologie vascolari, quelle epatiche. Le ricadute nei giovani,

invece, si fanno sentire soprattutto relativamente a incidenti stradali ma, sempre più spesso, anche a violenza e criminalità agite sotto l'

influenza dell'alcol. In maniera singolare, osservata attraverso la lente del danno sociale, l'alcol è la sostanza psicoattiva di maggiore

impatto, addirittura maggiore, di tutte le droghe illegali . E' una valutazione non così scontata ma, verosimilmente, molto realistica tenuto

conto dei bassi livelli collettivi di percezione e consapevolezza sugli effetti negativi esercitati dall'alcol come fattore determinante

nelle separazioni, nelle problematiche lavorative con la perdita della sicurezza economica e del lavoro, nella violenza intrafamiliare, nel

maltrattamento ai minori, negli atti di teppismo e vandalismo nei contesti di aggregazione.
Troppi stereotipi, spesso di pura convenienza, sono legati alle interpretazioni del bere fino all'intossicazione, il binge-drinking, o del

bere estremo come, ad esempio, l'eye-balling, il balconing, la drunkorressia solo per citarne alcuni; un interpretazione diffusa, ma non

supportata da alcuna evidenza oggettiva, vorrebbe tutti questi individui "disagiati", liquidando in una battuta un problema estremamente più complesso, più articolato e soprattutto, sconosciuto nella nostra nazione sino a dieci anni fa.
Molto è cambiato nell'ultimo decennio nei modelli del bere e soprattutto è cambiato il valore dell'alcol , inteso come uso e non consumo da

quattro milioni di binge-drinkers, di ubriachi in Italia ogni anno, assunto con modalità a rischio, non con moderazione da oltre nove milioni

di persone che non desiderano ispirarsi a stili di vita o a modelli di consumo sani o che non sono consapevoli del rischio collegato con le

modifiche fisiologiche intercorrenti con le diverse fasi della vita, ad esempio gli anziani, obiettivo negletto della prevenzione

alcolcorrelata .
Una platea ampia di consumatori che ha mostrato, nel suo complesso, di saper cambiare diminuendo, dimezzando il consumo medio pro-capite di alcol ma soprattutto grazie ad un ripensamento da parte dei moderati che sono diventati ancora più inclini alla sobrietà. Ma la distribuzione del consumo non è quella desiderabile. Lo zoccolo duro dei consumatori a rischio è, infatti, una costante da oltre dieci anni, una media di 8-10 % di individui "normali", non disagiati, ma giovani, adulti in età produttiva, anziani che non si mostrano sensibili alle (poche) campagne di sensibilizzazione o ai programmi di prevenzione probabilmente ininfluenti anche a causa della massiccia contro-sensibilizzazione del marketing commerciale, che investe oltre 300 milioni di euro l'anno per la pubblicità degli alcolici, 65 milioni solo sul web.
L'alcol è positivo, performante, dà successo, è trendy, è tutto ciò che si potrebbe desiderare e se non lo si desidera allora si è "fuori",

si è "sfigati" non si è parte di quel gruppo che poi, crudelmente, sanziona con l'emarginazione, l'esclusione se l'alcol non lo si sa

reggere. Addiction indica dipendenza, l'esser schiavo (addictus) di riti, di clichet, di luoghi comuni, di false credenze, di miti da sfatare

e di una ambiguità comunicativa che evita accuratamente di sottolineare che l'alcol genera più problemi di quanti ne possa evitare. E' il

caso della mortalità; oltre ventimila morti come stima minimale annuale dell'impatto estremo dell'alcol in Italia . E' un dato ufficiale, un

allarme riportato in tutte le relazioni formali al Parlamento da anni.
La droga impatta sulla società con meno di mille decessi l'anno, gli incidenti stradali con cinquemila circa ma ventimila morti non scuotono, non turbano e, alla luce delle esperienze condotte, producono quasi esclusivamente messaggi o azioni incentrate su un concetto generico del bere consapevole che, da uno standard tipicamente connotante le modalità di marketing commerciale, si è evoluto ed accreditato anche tramite dibattute partecipazioni istituzionali, in una base strategica a supporto di iniziative di informazione, comunicazione, prevenzione, sensibilizzazione promosse da soggetti non deputati a tale ruoli, tipicamente istituzionali, per esaltare e consolidare il concetto notoriamente di basso profilo dissuasivo del "bevi responsabilmente" o del "bevi consapevolmente" che secondo l'OMS non pone in evidenza il vero significato della responsabilità, della consapevolezza e, sopratutto, della moderazione.
L'OMS, nella Framework on Alcohol, è chiara a riguardo : "Appellarsi esclusivamente alla responsabilità individuale di bere con

responsabilità manca di significato contestuale, non considera il fatto che le decisioni spesso devono essere prese quando l'individuo è già

intossicato, e raramente produce una risposta significativa in termini di comportamento". Ovviamente un approccio maggiormente integrato e soprattutto maggiormente connotabile come messaggio di salute pubblica si rende indispensabile. "Bere è una responsabilità" sollecita una riflessione, ad esempio, più che sollecitare imperativamente (bevi) un comportamento indefinito. Le raccomandazioni internazionali, redatte attraverso anni di dibattiti, non sono quasi mai completamente vincolanti; attraverso alcuni principi, anche etici, guidano e sollecitano una attenta valutazione delle opzioni che le politiche di prevenzione e di controllo sull'alcol devono considerare per superare le barriere che impediscono l'esercizio del diritto della persona a vivere in un ambiente familiare, sociale e lavorativo protetto dalle conseguenze negative dell'alcol.
Si tratta di un invito alla responsabilità, che sintetizza l'approccio da perseguire nel breve, medio e lungo termine: responsabilità dell'

individuo, della famiglia, ma anche responsabilità etica delle imprese, del mondo della produzione, della distribuzione, del marketing e

delle stesse istituzioni. Le conseguenze negative dell'uso rischioso e nocivo di alcol si registrano, come noto, anche a bassi livelli di

consumo rappresentando un peso per le famiglie, le società e impattano sui sistemi sociali e sanitari, spesso ignorati, nonostante l'evidenza

che l'onere sostenuto sia in crescita, anche a causa dell'incremento delle prestazioni specifiche (ospedalizzazione, ricorso ai servizi

sanitari e al pronto soccorso, ricorso ai servizi per la riabilitazione dell'alcoldipendenza) e della gestione dei costi indiretti come

quelli conseguenti alla incidentalità stradale alcolcorrelata, prima causa di morte tra i giovani in Italia, e al fenomeno del

traghettamento, noto come gateway drug, verso il consumo di droghe illegali di cui l'alcol favorisce l'assunzione "ricreazionale" nei luoghi

di aggregazione giovanile.
Normalizzare l'alcol, in questa prospettiva di "sballo", può pericolosamente giungere a normalizzare anche l'uso di cocaina o di smart drugs come rilevato attraverso le esperienze correnti. La nuova addiction è l'alcol. Non quella dei sessantanovemila alcol dipendenti in carico ai servizi per la disassuefazione o del milione e mezzo di alcodipendenti che la Società Italiana di Alcologia stima in Italia, bensì di quella parte sommersa ma ben visibile di individui che sente l'esigenza dell'intossicazione collettiva, il butellon, contrastato a fatica dalle autorità e dalle ordinanze comunali. I 9 milioni di persone che bevono oltre i limiti quotidianamente rappresentano il bacino naturale di una evoluzione nel tempo che ha già da oggi un costo per la collettività che paga in Italia ogni anno per gli effetti sulla salute e sulla sicurezza oltre 11.000 milioni di euro , costi riferibili anche ai 4 milioni di ubriachi, i binge-drinkers, che non trovano supporto al cambiamento in contesti sociali e di aggregazione in cui l'unico valore e l'unica alternativa proposta è spesso solo l'alcol. Per tutti questi individui non c'è da attendere la cirrosi o l'incidente alcolcorrelato; si sopravvive in una dimensione gravata dagli effetti immediati, spesso tangibili dell'alcol, a volte sociali, come la perdita del lavoro, della sicurezza sociale ed economica, della famiglia, degli affetti ma sempre più spesso da esiti sulla salute come la perdita del 10-20 % di capacità mnemonica o di orientamento dopo qualche mese di intossicazione alcolica nel fine settimana . Fenomeni emergenti, non sufficientemente considerati e che richiamano numerosi interrogativi.

Che percorsi sono a disposizione di un minore o di un giovane intossicato che giunge in un Pronto Soccorso, fatta eccezione per la disintossicazione?

Che accessibilità è garantita a interventi capaci di intercettare e recuperare il bevitore problematico?

Quale rete di protezione scolastica, familiare, sociale, istituzionale è da creare per evitare che un episodio noto di intossicazione si ripeta?

Come si organizza l'identificazione precoce e l'intervento motivazionale nelle persone che sono a rischio ma possono essere ricondotti verso modelli ispirati a stili sani di vita e di consumo?

Come si garantisce un accesso ottimale, omogeneo ed equo sul territorio nazionale, ai servizi competenti a chi ha avuto, ad esempio, problemi di alcol e guida favorendo l'avvio alla prevenzione in un contesto che oggi in molti casi è obbligatoriamente condiviso in termini di logistica con le strutture destinate ai tossicodipendenti o agli alcodipendenti?

Chi ha ruolo e mandato per ottimizzare la prevenzione di queste forme di addiction?

E' necessario dare un organizzazione ai servizi specifici e nuovi strumenti di gestione agli operatori?

Come si fa a costruire un rinnovato controllo formale della società che ha esercitato per secoli un ruolo di educazione e protezione formale sui giovani, accompagnandoli nel loro percorso di sperimentazione , di iniziazione e che oggi ha abbandonato tale vocazione educativa?

Come si favoriscono le scelte informate contrastando le pressioni positive al bere, le pratiche e le comunicazioni ingannevoli, non solo commerciali, evitando di consentire forme di persuasione indirizzate ai contesti di aggregazione giovanile, agli eventi culturali, musicali, sportivi ad essi indirizzati?

La speranza è che la sensibilità e la cultura della prevenzione del rischio e del danno possano, nell'interesse della collettività, assumere la valenza e il ruolo capaci di ridurre nel tempo l'esigenza di risorse irragionevolmente destinate alla cura tardiva della dipendenza secondo l'assunto che un grammo di prevenzione costi sempre meno di un chilo di cura. Ricordando che la prevenzione è un investimento per la società e non un costo.

E che non c'è prevenzione o sviluppo senza il contributo inestimabile della ricerca*.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)