338-1938888 o 331-2460501/2/3 o 0172-55294[email protected]

News di Alcologia

Alcolismo: una panoramica

Alcolismo: una panoramica

Tutto sull'alcolismo

Revisione scientifica: Dr. Matteo Pacini

Questo articolo illustra cos'è l'alcolismo, quali sono i sintomi principali, quali danni ed effetti negativi può provacare sulla salute e quali sono le terapie e i trattamenti possibili per smettere di bere.

Gli alcolici sono un tipo di sostanza in grado di produrre danni di vario tipo, inclusa la dipendenza

Ciononostante sono un tipo di droga culturalmente accettata e legalizzata, per un bilancio che pesa da una parte i costi sanitari, e dall'altra la desiderabilità da parte delle persone e la possibilità di un uso controllato. Non è così ovunque e non è sempre stato così, forse anche perché questo bilancio tra rischi e benefici varia con l'etnia. Si ritiene inoltre che l'esposizione all'alcol in giovanissima età comporti un rischio maggiore di effetti psichici e attaccamento patologico (dipendenza).

Gli alcolici sono accomunati dalla presenza dell'etanolo (alcol etilico), e differiscono per composizione e concentrazione di etanolo (alcolici normali e superalcolici), oltre che per il contesto in cui sono comunemente consumati.

I danni dell'alcolismo

I danni che l'esposizione all'alcol produce sui vari organi dipende sia dalla quantità in sé, che da fattori genetici che ne condizionano la tossicità, come ad esempio la rapidità con cui è metabolizzato, e la concentrazione del liquido (questo soprattutto per il danno all'apparato digerente superiore, tramite cui introdotto).

Attraverso esami specifici è possibile verificare la situazione di intossicazione alcolica per quanto riguarda i principali organi sensibili ad esso, per esempio il fegato o il pancreas.

In un consumatore cronico di grosse quantità, quando si voglia accertare l'effettivo rischio di danni avanzati, i soli esami del sangue non sono sufficienti ad avere un'idea precisa, ed è bene ricorrere anche ad esami strumentali, come ad esempio l'ecografia.

La dipendenza alcolica è una condizione che si sviluppa per effetto della prolungata esposizione all'alcol, dopo un tempo variabile, anche di molti anni, di consumo controllato. Si intende per dipendenza una situazione, che si può interrompere periodicamente ma tende a riprodursi (recidivante) in cui la persona non riesce a gestire l'alcol secondo le sue intenzioni di consumo.

Se una persona è consapevole di questo, avrà l'intenzione di non consumarlo (perché sa di non poterlo comunque gestire), ma non riuscirà a non consumarlo. Se invece una persona non è consapevole, continuerà a pensare di poterlo gestire, e cercherà un consumo controllato, senza riuscirvi. Aggravandosi l'alcolismo, la consapevolezza peggiora.

Contrariamente a quanto si pensa, l'aggravamento di una dipendenza non migliora la consapevolezza, che invece può definirsi nel primo periodo, quando la persona tenta le prime cure ed è dipendente da non molto tempo.

Spesso si confonde la dipendenza con sue parti, o con sintomi che non sono sufficienti a diagnosticarla né ad escluderla.

Ad esempio:

  • il fatto di non bere tutto il giorno, a partire dal mattino, non significa che non si è alcolisti;
  • il fatto di bere molto in sé non significa essere alcolisti;
  • il fatto di ubriacarsi spesso non significa essere alcolisti;
  • il fatto di bere da soli, benché più frequente tra gli alcolisti, di per sé non è sufficiente a fare diagnosi;
  • infine, star male se si sospende bruscamente (astinenza) di per sé non è sufficiente a far diagnosi.

Se non esiste l'alcolista che beve poco, esiste invece il consumatore non dipendente che beve discrete quantità per semplice abitudine.

Cosa distingue l'abitudine dalla dipendenza? Non il danno da intossicazione, né il fatto di poter andare in astinenza se si sospende bruscamente: la distinzione è data dalla coincidenza, o discrepanza, tra il modo in cui si vorrebbe gestire l'alcol, e il modo in cui invece si riesce a farlo.

Perché si inizia a bere?

I motivi per cui una persona inizia a bere sono vari, così come quelli per i quali una persona diviene bevitore abituale. Il motivo principale è l'effetto piacevole, e il fatto che l'alcol riesce a lasciare una memoria “operativa” efficace, cioè aumenta la probabilità che il comportamento si ripeta.
Questa memoria non è sempre logica rispetto all'effettivo piacere dell'esperienza: come altri stimoli in grado di indurre dipendenza, o abuso, può essere che si tenda a bere “per bere”, anche se in realtà bevendo le nostre condizioni peggiorano, o comunque non migliorano. Nella dipendenza, poi, questo si spinge all'estremo, e nonostante danni di ogni tipo l'alcolista “insiste” nella ricerca dell'alcol, ma soprattutto finisce per bere sempre o quasi in maniera “tossica”.

Le basi biologiche dell'alcolismo sono sufficientemente note per delineare un modello anatomico-funzionale. Attraverso la cosiddetta “via del piacere” l'alcol è recepito e lascia la sua memoria operativa in una seconda zona, che è la zona della “voglia”. Questa traduzione avviene anche in termini di emozioni e memorie associate alle esperienze alcoliche. La zona della “voglia” tuttavia, si distacca dalle altre zone del “piacere”, e riesce a funzionare in autonomia. Anzi, quando funziona in maniera autonoma finisce per indurre, a ritroso, cambiamenti funzionali a soddisfare la voglia: chi ha voglia di bere può sentirsi di cattivo umore, e quindi esservi spinto anche in questa chiave “terapeutica”, ad esempio. Soprattutto però, quando la voglia cresce tutti i pensieri e i programmi di astensione, resistenza e rifiuto che la persona aveva fatto prima tendono ad essere oscurati, cosicché dall'esterno si può avere l'impressione di una “doppiezza” dell'alcolista, che prima ragiona come se non dovesse mai più bere, poi mente per farlo indisturbato.

Sintomi dell'alcolismo

La bugia è un sintomo caratteristico, utile nella diagnosi. Si tratta di una bugia patologica, in quanto funzionale solo al rapporto con l'alcol, cioè a qualcosa di tossico. L'istinto a mentire, per esempio sul fatto di aver bevuto, su quanto si è bevuto, su quando etc... è teoricamente un modo per negare l'esistenza di un problema, con il risultato di poter bere ancora e liberamente, o di non essere controllati o criticati. Non è raro che la persona menta su ciò che ha già ammesso, o menta sapendo che questo peggiora la situazione, o ritenga di poter nascondere in maniera goffa le conseguenze della bevuta. Ma è anche frequente che la persona riesca a convincere gli altri, insistendo a negare l'evidenza, che davvero non ha bevuto, o non molto. Questo spesso accade perché è quello che gli altri (familiari, partners etc.) sperano sia vero, e vorrebbero sentirsi dire, potendoci credere.

L'irritabilità è un altro sintomo caratteristico quando si cerca di impedire alla persona di bere, o la si accusa di aver bevuto. Il principio è lo stesso: l'attivazione istintiva verso l'alcol, o in difesa di esso, per mantenersi “liberi” di bere senza ostacoli.

Cure e trattamenti per smettere di bere

Sulla cura dell'alcolismo ci sono molte false credenze, e purtroppo anche una tradizione di trattamento che non corrisponde sempre a quello che la scienza insegna. Il trattamento mira, qualunque esso sia, a ricostruire la libertà di scelta della persona, cioè il controllo sulle proprie intenzioni. Ci sono diversi sistemi per ottenere questo risultato.
In generale, il fatto che una persona smetta di bere non è un requisito per iniziare a curarsi, e se lo fosse, sarebbe del resto un bel problema. Paradossalmente, alcuni trattamenti funzionano prima e meglio su persone che stano bevendo, piuttosto che su chi ha interrotto.

Uno dei più grossi equivoci sulla terapia dell'alcolismo è quella di puntare tutto sul “cambiare aria”, come se il problema venisse da fuori. Questo crea situazioni che possono temporaneamente funzionare, ma non corrisponde ad un ambiente naturale.

a) Cure che rendono sgradevole l'effetto dell'alcol, cosiddette “repulsive” o “avversivanti”: disulfiram.

Questa sostanza modifica il metabolismo dell'alcol e genera una reazione tossica, potenzialmente anche pericolosa, a seconda della quantità. Dopo aver sperimentato questa reazione in versione più o meno intensa, la persona desisterà dal bere. Nel tempo il suo desiderio si spegnerà. Tuttavia, se il vincolo viene meno, il desiderio può ricomparire anche dopo lunghi periodi di controllo.
La terapia con disulfiram non può essere gestita dal paziente, ma richiede un “controllore”. Il suo funzionamento non avviene per un effetto “deterrente” ma “avversivante”, vale a dire che se una persona semplicemente passa un lungo periodo senza bere per il timore di avere la reazione tossica, ma senza averla mai avuta, in realtà non sta rispondendo al disulfiram.
Quando il desiderio torna, queste persone, che gestiscono da sole il farmaco, tipicamente lo interrompono e poi bevono.
La cura con disulfiram richiede che la persona sia prima trattata per l'astinenza, e poi, ad astinenza risolta, avviata al disulfiram.

b) Farmaci che interferiscono con l'azione di rinforzo del comportamento.

Questi farmaci boicottano la capacità dell'alcol di richiamare se stesso dopo l'inizio della bevuta. Nel tempo, questo effetto si traduce anche in una riduzione della voglia di iniziare a bere.
I farmaci che funzionano in questo modo sono naltrexone e nalmefene. La terapia funziona a partire da una situazione in cui la persona beve, e funziona tanto più quanto più si verifica questa interazione tra alcol e farmaco. Non si tratta di un effetto tossico, come per le terapie “repulsive”, e l'effetto dell'alcol può rimanere uguale.
Il comportamento invece tende a limitarsi (bevute meno pesanti, meno prolungate, meno ripetute etc.).

c) Farmaci che inibiscono il desiderio “a monte”.

Si tratta del meccanismo più semplice e diretto. Si possono utilizzare sia farmaci che “illudono” il cervello della presenza dell'alcol, e quindi spengono la voglia, sia farmaci che non bloccano la voglia in uscita senza agire tramite recettori alcolici.
Rientrano nella prima categoria il GHB, il clonazepam e nella seconda alcuni farmaci già in commercio come stabilizzanti d'umore, anti-ansia o miorilassanti.

Qualsiasi sia il meccanismo, le regole d'oro sono due:

  1. non focalizzarsi sull'interruzione come punto iniziale, e quindi non “puntare” su come inizia il tentativo di cura.
  2. Puntare invece sul miglioramento graduale dei risultati, anche a partire da primi risultati non esaltanti. 

Il fatto di esser riusciti a ridurre il bere grazie alla terapia, e stabilmente dopo le prime settimane, è più significativo del fatto di aver smesso subito ed essere rimasti sobri per lo stesso periodo.

La sobrietà temporanea infatti rientra anche nel decorso spontaneo della malattia, mentre invece il fatto di riuscire a mantenere quantità ridotte è ciò che all'alcolista non riesce. Se gli riuscisse, avrebbe il controllo e non sarebbe quindi alcolista.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link http://www.medicitalia.it/salute/psichiatria/198-alcolismo.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)