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News di Alcologia

Bere alcol mi ha provocato il tumore alla mammella?

Bere alcol mi ha provocato il tumore alla mammella?

Bere alcol mi ha provocato il tumore alla mammella?

La scienza è chiara sul legame (tra alcol e insorgenza di tumori), ma l’industria dell’alcol ha lavorato sodo per minimizzarlo.

Stephanie Mencimer, Maggio/Giugno 2018

(traduzione italiana del dr. Paolo Giuseppe Franceschi)

 

Sebbene avessi fatto ogni cosa come si doveva: allattare al seno i miei figli, seguire scrupolosamente una dieta sana, fare molta attività fisica, non fossi sovrappeso, non avessi una storia familiare di tumore, comprassi bottiglie prive di bisfenolo A[1], la primavera scorsa, durante un controllo mammografico il medico vide qualcosa di preoccupante.

Carcinoma lobulare invasivo. Un tumore maligno della mammella. Questa piccola sottile striscia di quasi 3 cm significava che ero allo stadio 2.

A 47 anni di età, ero di 15 anni più giovane rispetto alla media per una diagnosi di cancro della mammella negli USA. Era solo sfortuna? Può darsi, ma la giornalista che era in me era ancora curiosa di sapere: perché proprio io? Così, scavai nella letteratura riguardante i fattori di rischio per vedere in quale di essi potevo rientrare. E’ una domanda cui è impossibile per un individuo rispondere definitivamente, tanto quanto cercare di provare che un singolo evento atmosferico è stato provocato da un cambiamento climatico. Come mi ha detto un medico, “sa chi è a rischio di tumore della mammella? Le persone che hanno la mammella!”

Ancora, molti indicatori della malattia non sembravano applicabili a me. Il più grande di questi è l’età: mediamente la diagnosi negli USA avviene a 62 anni, e i più alti tassi di tumore alla mammella è in donne maggiori di 70 anni. Un altro è l’assunzione di terapia ormonale di rimpiazzo, ma io sono in età premenopausa, e non l’ho assunta. L’obesità aumenta il rischio, ma non sono mai stata sovrappeso.

Poi, ne ho visto uno che mi ha bloccato: il consumo di alcol. Non sono una grande bevitrice, ma come la maggior parte delle donne che conosco, ho assunto una considerevole quantità di alcol nella mia vita.

Mentre i dottori mi hanno spesso sconsigliato dal mettere crema nel caffè perché ostruisce le arterie —una correlazione che è stata confutata— non una sola volta un medico mi ha suggerito che avrei potuto correre un maggior rischio di avere un tumore se non avessi tagliato sul mio bere alcol. Ho compilato negli anni dozzine di moduli che mi chiedevano quanto bevessi ogni settimana, ma nessuno mi ha mai seguito nel tempo tranne che per dirmi con un cenno di approvazione “Così, lei beve socialmente”.

 

La ricerca che lega l’alcol al tumore della mammella è tremendamente fondata: l’alcol, che sia un liquore Everclear o un vino Bordeaux, è cancerogeno

L’ho scoperto rapidamente molto tempo fa, nel 1988, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiarò l’alcol una sostanza cancerogena del gruppo 1, nel senso che è provato che causa il cancro. Secondo l’OMS, non esiste alcun dosaggio di alcol sicuro nell’uomo. L’alcol causa almeno 7 tipi diversi di cancro, ma uccide più donne da tumore alla mammella che da qualsiasi altro tipo. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro stima che per ogni drink consumato al giorno, il rischio di questo tipo di tumore aumenta del 7%.

Il legame tra alcol e tumore è molto chiaro, non c’è discussione. L’alcol, di qualunque tipo sia, è cancerogeno.  Più di 100 studi nel corso di parecchie decadi hanno confermato questo legame con risultati concreti. Il National Cancer Institute dice che l’alcol aumenta il rischio di tumore alla mammella anche a basse dosi.

Sono una lettrice piuttosto vorace di notizie sulla salute, e tutto questo mi ha provocato uno shock. Mi era stato detto che il vino rosso proteggeva dalle cardiopatie, non che ti procurava il cancro. E lavorando al Mother Jones (un gruppo di giornalisti indipendenti, NdT), pensavo che avrei scritto o letto articoli su qualsiasi cosa che potrebbe causare tumori: zucchero, plastica, latte, pesticidi, shampoo, una crema solare sbagliata, acqua di rubinetto…tu digiti un nome, e ti riportano le possibilità che questo ti procuri il cancro. Man mano che mi trascinavo avanti e indietro negli ospedali per interventi chirurgici o trattamenti radioterapici, incominciai a domandarmi come facevo a sapere tutto delle varie cause di tumore ma non dell’alcol. Ne viene fuori che c’era una buona ragione per la mia ignoranza.

Io sono nata e cresciuta nell’Utah, e dopo la mia diagnosi di cancro, mi sono domandata cosa sarebbe successo se fossi stata ferma. La mia condizione familiare causava uno dei più bassi tassi di tumore alla mammella della nazione. Le donne mormoni osservanti non bevono alcol, e come altre popolazioni astinenti, hanno tassi significativamente più bassi di tumore alla mammella rispetto ai bevitori. Nell’Utah, i tassi di cancro alla mammella delle donne mormoni sono più bassi di oltre il 24% rispetto alla media nazionale (gli uomini mormoni hanno tassi più bassi di cancro al colon, che l’alcol può causare).

 

I ricercatori pensano che il basso tasso globale di questo tipo di tumore nell’Utah abbia a che fare con lo stretto controllo della “Chiesa dei Santi degli ultimi giorni” sulla politica statale sull’alcol. I Gentili (così noi mormoni chiamiamo coloro che non lo sono), mugugnano fortemente per il contenuto “acquoso” della birra venduta nei supermercati dell’Utah (3,2% di gradazione), l’alto prezzo della vodka venduta esclusivamente nei negozi tenuti dallo Stato, e l’infame “cortina di Sion,” una barriera che fino a poco tempo fa i ristoranti erano tenuti ad avere per impedire ai bambini di vedere servire bevande alcoliche. Eppure, tutte queste restrizioni sullo sbevazzare sembra che giovino alla salute degli abitanti dell’Utah, che siano mormoni oppure no, specialmente per quanto riguarda il cancro alla mammella.

Gli epidemiologi per primi hanno riconosciuto il legame tra cancro e consumo di alcol negli anni ’70. Da allora gli scienziati hanno trovato spiegazioni biologiche sul perché l’alcol è cancerogeno, in particolare per i tessuti mammari.

Quando tu bevi un drink, gli enzimi nella tua bocca convertono anche piccole quantità di alcol in alti livelli di acetaldeide, una sostanza cancerogena. I soggetti che consumano più di tre drink al giorno hanno da 2 a 3 volte di più la possibilità di contrarre un cancro del cavo orale rispetto a coloro che non bevono così. L’alcol danneggia anche le cellule del cavo orale, facendo da volano per altri cancerogeni: si è visto che il bere alcol associato al fumare tabacco dà un molto maggior rischio di cancro alla gola, al cavo orale e all’esofago che ciascuno di essi da solo.

L’alcol continua il suo processo di danneggiamento cellulare man mano che gli enzimi dall’esofago al colon lo convertono in acetaldeide. Il fegato è il centro di detossificazione dell’organismo, ma l’alcol è tossico per le stesse cellule epatiche, e può lasciare una cicatrice su di esse, portando nel tempo a cirrosi, che innalza il rischio di carcinoma del fegato.

 

I ricercatori stimano che l’alcol renda conto del 15% dei casi e delle morti da cancro della mammella

Quando l’acetaldeide scorre per l’organismo, può legarsi al DNA, causando mutazioni che possono condurre al cancro, specialmente del colon. Si sospetta che l’alcol infligga un doppio brutto colpo ai tessuti mammari perché aumenta anche il livello di estrogeni nell’organismo della donna. Alti livelli di questo ormone inducono una più rapida divisione delle cellule di questo organo, cosa che può condurre a mutazioni e quindi a tumori.

I ricercatori stimano che l’alcol renda conto del 15% dei casi di questo tipo di tumore negli USA (circa 35.000 all’anno) e delle morti (circa 6.6.00 all’anno). Questo significa circa tre volte di più del numero di tumori alla mammella causati da una mutazione del gene BRCA[2], che indusse Angelina Jolie a sottoporsi nel 2013 a mastectomia bilaterale (le mammelle erano ancora sane), in quanto portatrice di uno di questi geni anormali.

Il rischio che l’alcol causi cancro della mammella è alto quasi quanto il rischio di tumore polmonare da fumo di tabacco. Ma il cancro alla mammella alcol-correlato uccide le donne americane più del doppio rispetto a quanto fanno i guidatori in stato di ebbrezza. E l’alcol è uno dei fattori di rischio che le donne possono controllare. Altri, come avere il menarca prima dei 12 anni di età o la menopausa dopo i 55, sono inevitabili.

Nel complesso, le donne americane hanno un rischio di circa il 12% di avere il tumore della mammella nel corso della loro vita. Walter Willett, professore di epidemiologia alla Harvard T.H. Chan School of Public Health, che ha condotto studi sulla relazione tra alcol e questo tipo di cancro, dice che una donna che consuma da 2 a 3 drink al giorno ha un rischio di circa il 15% nel corso della sua vita (un 25% in più rispetto agli astemi). In confronto, la mammografia riduce il tasso di mortalità da cancro della mammella di circa il 25%.

Quando si rese evidente il rischio di tumore legato all’alcol, gli operatori della sanità cercarono di diffondere la notizia. Nel 1988, la California aggiunse l’alcol alla lista delle sostanze chimiche capaci di indurre tumori che richiedevano un’etichetta con un messaggio di avviso. L’anno successivo, quando il Congresso degli Stati Uniti impose per la prima volta in tutto il Paese un’etichetta ad hoc sulle confezioni di bevande alcoliche, si cercò di comprendere l’alcol tra le sostanze che provocano tumori. Già bistrattata dagli attivisti a proposito della guida in stato di ebbrezza e della sindrome alcolica fetale, l’industria degli alcolici attraversava un brutto periodo, con un consumo pro capite in netta discesa dopo aver raggiunto un picco nel 1981. Temendo che i sostenitori della salute pubblica facessero alle industrie di bevande alcoliche quello che avevano fatto alle industrie del tabacco, i fabbricanti contrattaccarono con un’audace campagna di commercializzazione.

Le industrie legate all’alcol lavorarono per far apparire gli alcolici come un elemento basilare di uno stile di vita sano, come l’insalata e il jogging. Le industrie produttrici di vino capeggiarono questa battaglia, con il vinificatore Robert Mondavi che accompagnava i rabbini e i medici in gite educative riguardo ai presunti benefici per la salute del bere moderato. Egli disse nel 1988 al New York Times che il vino “è stato apprezzato per secoli da sovrani, filosofi, medici, sacerdoti e poeti per la vita, la salute e la felicità”.

Il tentativo delle industrie di trasformare i suoi prodotti in tonici per la salute non avrebbe mai potuto avere successo senza l’aiuto del giornalista Morley Safer. In 1991, Safer in una trasmissione dedicò un tempo di 60 minuti al “paradosso francese”, ossia la convinzione che i francesi mangiano un mucchio di carne rossa, formaggi e creme, ma hanno tassi di malattie cardiache più bassi che gli Americani, che erano da molti anni dentro ad un tormentone di diete a basso contenuto di grassi. In quel programma, egli levò in alto un bicchiere di vino rosso e dichiarò: “La risposta al mistero, la spiegazione del paradosso può stare in questo invitante bicchiere”. Le ultime ricerche, disse, dimostrano che il vino rosso può lavar via i depositi di grasso dalle arterie e contrastare gli effetti della pesante dieta francese.

Quel programma televisivo, che stando all’International Wine & Food Society fu visto da più di 20 milioni di persone, produsse una risonanza a livello mediatico e causò un picco nella vendita di vino rosso in tutta la nazione. Presto i ricercatori sfatarono l’idea che il vino aiutasse il cuore dei francesi, e le cardiopatie in Francia risultarono essere più frequenti di quanto propagandato. Nel frattempo, tutto il vino che i francesi consumavano stava uccidendo un gran numero di loro. Nello stesso anno in cui fu trasmesso quel programma, la Francia emanò alcuni dei più restrittivi regolamenti al mondo riguardanti la pubblicità di bevande alcoliche per combattere il diffondersi della cirrosi epatica.

 

Il Distilled Spirits Council degli Stati Uniti “sta lavorando per assicurare l’accettazione culturale degli alcolici normalizzandoli nella mente dei consumatori come la parte sana di un normale stile di vita” disse l’Amministratore delegato del gruppo nel 2000

Ciononostante, l’industria statunitense del vino fece pressione per includere un messaggio positivo riguardo all’alcol per quanto riguarda la salute nelle linee guida sulla dieta per gli Americani del 1995 pubblicata dal Dipartimento dell’Agricoltura. Le nuove linee guida rimossero tutte le frasi che sostenevano che l’alcol “non aveva alcun beneficio sulla salute” e dichiararono che per alcune persone un moderato consumo di alcol potrebbe ridurre il rischio di malattie cardiache.

Ad una conferenza di grossisti di birra tenutasi nel 1996, la vice presidente delle relazioni aziendali della Miller Brewing Co. promosse il successo di quella trasmissione e i conseguenti cambi nei messaggi del Governo sulla salute come un progresso nello sforzo delle industrie di etichettare i propri prodotti come salutari, e sollecitò i partecipanti ad aprire ogni incontro con un funzionario scelto dicendo, “L’alcol può far parte di una dieta sana”.

Nel corso degli ultimi vent’anni, l’industria dell’alcol le ha tentate tutte per legare i suoi prodotti ad uno stile di vita attivo. Peter Cressy, il precedente Amministratore delegato del Distilled Spirits Council degli Stati Uniti, ossia la lobby dei liquori, disse nel 2000: “Stiamo lavorando per assicurare l’approvazione culturale delle bevande alcoliche normalizzandole nella mente dei consumatori come una parte sana di un normale stile di vita.”

Le compagnie in questione, a lungo sponsor di gare di football e di eventi della NASCAR[3] ora sponsorizza le gare 5K (le corse 5k sono competizioni di corsa su strada della lunghezza di 5 km, NdT) e di triathlon. Durante il Super Bowl dello scorso anno (il Super Bowl è la gara del campionato annuale della Lega Nazionale di Football, NdT),  la pubblicità della Michelob Ultra –la più grande industria di birra degli USA– presentava gente in ottime condizioni di salute che si allenava e poi afferrava una birra per spegnere la sete (bere alcol dopo un esercizio fisico provoca invece disidratazione e ostacola il recupero muscolare). Le compagnie che fabbricano superalcolici inventarono prodotti come la vodka della Devotion Spirits, che si diceva contenesse una proteina che aiutava a sviluppare i muscoli e a prevenire i postumi della sbornia (nel 2012, la Devotion Spirits ritirò molte di queste affermazioni sulla salute dopo che la Commissione Federale per il Commercio aprì un’inchiesta).

Infatti, i presunti vantaggi del bere moderato sono uno degli argomenti di conversazione verso cui le industrie si dirigono. Quando la Mother Jones si mise in contatto con le maggiori compagnie che fabbricavano birra e superalcolici, quelle che risposero riconobbero il legame tra alcol e tumori, ma alcuni affermarono che i rischi esistevano soprattutto o interamente per i forti bevitori. Sarah Longwell, l’Amministratore delegato dell’American Beverage Institute, ha detto in una dichiarazione che “un numero considerevole di studi ben condotti rivelano che non esiste alcuna correlazione tra tumori e consumo di alcol lieve o moderato.” E’ stato trovato, notava, che il bere moderato, tra gli altri benefici, riduce il rischio di cardiopatie. “C’è stato uno sforzo combinato, da parte di alcuni ricercatori, di ribaltare questa nozione”, disse in una precedente conversazione. “Penso che ciò sia andare contro la buona scienza”.

Commercializzare l’alcol come un prodotto che fa bene dev’essere una cosa difficile. Il cancro è solo uno dei modi con cui esso può ucciderti. Guida in stato di ebbrezza, intossicazione alcolica, lesioni, violenza domestica, malattie del fegato… l’alcol è responsabile della morte di circa 90.000 americani ogni anno, più del doppio delle 40.000 morti stimate per droga negli Stati Uniti nel 2015. Per superare questo ostacolo, l’industria aveva bisogno di dare un supporto scientifico alla sua campagna di pubbliche relazioni. La strategia veniva direttamente dal programma del tabacco e ciò non era una sorpresa: talvolta le compagnie erano le stesse, o addirittura una sola. La Philip Morris, un gigante dell’industria del tabacco, che comprò la Miller nel 1970, divenne in seguito la Altria, che oggi ha una grande pacchetto azionario nella Anheuser-Busch (un’industria della birra, NdT).

 

Big Tobacco ha aperto centri di ricerca per mettere in discussione la scienza che collega il fumo al tumore del polmone, e ha finanziato ricerche che hanno lo scopo di mostrare i benefici del tabagismo, quali la riduzione dello stress, nel tentativo di aggirare regolamenti più restrittivi. L’industria dell’alcol ha intrapreso un approccio simile, aiutata in questo dalle ricerche da essa sovvenzionate fin dalla fine degli anni ’60. In un libro del 1993 intitolato “Avanti insieme, industria e università”, Thomas Turner, ex-preside di facoltà della Johns Hopkins University Medical School, spiegò come, a partire dal 1969, aveva lavorato con i capi delle più grandi fabbriche di birra a livello mondiale per creare l’Alcoholic Beverage Medical Research Foundation (ora chiamata Foundation for Alcohol Research). La fondazione portò gli accademici a convegni in luoghi esotici e concesse borse di studio agli scienziati.

 

Tra il 1972 e il 1993, Turner si vantò che questa Fondazione e i suoi precursori finanziarono più di 500 studi sull’alcol e distribuirono borse di studio a dozzine di ricercatori e di universitari. Uno di questi era il Dr. Arthur Klatsky, della Kaiser Permanente (organizzazione statunitense per la tutela della salute, NdT). Nei primi anni ‘70, Klatsky ebbe accesso ai dati dettagliati attraverso il Sistema sanitario di Kaiser, che comprendeva informazioni sull’assunzione di alcol da parte dei pazienti. Nel 1974, egli pubblicò uno dei primi lavori che insinuava che i bevitori avevano tassi di cardiopatie inferiori rispetto alle persone astemie. Poco dopo, la Fondazione della birra iniziò a finanziare la raccolta di dati di Klatsky alla Kaiser, relazione questa che continuò per decenni. Tra il 1975 e il 1991, stando al libro di Turner, la Fondazione contribuì con 1,7 milioni di dollari alle ricerche di Klatsky su alcol e salute. L’industria pubblicizzò ampiamente il suo lavoro che dichiarava benefici per la salute dal bere alcol, e Klatsky è ancora citato regolarmente dai mass media, spesso senza alcuna rivelazione dei suoi rapporti con l’industria.

 

“Stai guardando a delle imprese abili nel creare dubbi quando ciò viene a proteggere i loro profitti,” dice uno dei rappresentanti della salute pubblica

Klatsky dice che questi finanziamenti non hanno mai compromesso l’oggettività delle sue ricerche. Egli fa notare che il primo lavoro che produsse con i soldi della Fondazione della birra mostrava che i bevitori avevano un rischio elevato di ipertensione arteriosa. Egli ha inoltre pubblicato uno studio precursore sul legame tra alcol e tumore della mammella. “Penso che la maggior parte delle persone che conosce me e il mio lavoro pensa che io sia una persona imparziale” mi disse. “Vedo entrambi i lati della questione alcol. E’ una spada a doppio taglio”.

 

L’industria ha inoltre finanziato ricercatori che gettano dubbi sugli studi che creano problemi per esso. Ad esempio, il Distilled Spirits Council pagò per uno studio del 1994 eseguito dal Dr. H. Daniel Roth, che stava allora aiutando la Philip Morris a raggiungere un accordo con le vittime di tumore al polmone. Questo lavoro mise in discussione il legame tra alcol e cancro della mammella. “Stai guardando a delle imprese abili nel creare dubbi quando ciò viene a proteggere i loro profitti”, dice Robert S. Pezzolesi, il direttore della fondazione del gruppo di salute pubblica New York Alcohol Policy Alliance.

Nei primi anni ’90, la Fondazione della birra sovvenzionò le ricerche di George Koob, che lavorò come consulente della fondazione stessa tra il 1999 e il 2003. Nel 2014, egli divenne direttore del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA), l’unica agenzia federale dedicata esclusivamente alla ricerca sull’alcol.

La porta girevole di Washington manda persone in entrambe le direzioni. Almeno una mezza dozzina di funzionari governativi che lavoravano sulla politica dell’alcol hanno lasciato per andare a lavorare con le industrie negli ultimi 20 anni. Tra i più noti, vi è il Dr. Samir Zakhari, un tempo direttore della divisione del Metabolismo e effetti sula salute al NIAAA. Nel 2012, il Distilled Spirits Council lo assunse a capo del suo ufficio scientifico.

 

il NIAAA ha da tempo riconosciuto che l’alcol aumenta il rischio di cancro mammario, e anche la letteratura presente sul sito del Distilled Spirits Council lo ha riconosciuto, sebbene sembra essere stato messo in sordina. Ma nel 2015, Zakhari pubblicò un articolo su un giornale scientifico che asseriva che “non esiste alcuna prova concreta che associ un’assunzione moderata di alcol con un’aumentata incidenza di cancro mammario”. Egli consigliò alle donne preoccupate del cancro di consultare un medico poiché “un’assunzione moderata di alcol è stata associata a potenziali benefici per la salute, compreso un diminuito rischio di malattia delle arterie coronarie e della mortalità globale, protezione contro l’insufficienza cardiaca, diminuito rischio di ictus cerebri, e protezione contro il diabete mellito di tipo 2 e l’artrite reumatoide”. Un gruppo industriale ha recentemente citato questo articolo per cercare di aggirare le restrittive raccomandazioni governative sul consumo di alcol nel Regno Unito.

Zakhari si tiene in contatto coi suoi vecchi colleghi al NIAAA, stando alle email che Mother Jones ha ottenuto attraverso una richiesta di documenti pubblici. Nel 2014, il Baltimore Sun ospitò un articolo di opinione da parte del Competitive Enterprise Institute (che è supportato dall’industria) che si lamentava per il fatto che i dollari pagati con le tasse andassero per “sostegno anti-alcol” e citava uno studio sovvenzionato dal NIAAA sulla commercializzazione da parte dell’industria per bevitori minorenni che era stato condotto da David Jernigan, direttore del Johns Hopkins University Center on Alcohol Marketing and Youth. Circolava tra gli impiegati del NIAAA un’email che li avvertiva dell’articolo. Koob, il direttore del NIAAA, inoltrò l’email a Zakhari e scrisse: “Sam: Per l’archivio. Ciò NON accadrà ancora. NON finanzierò questo tipo di lavoro sotto il mio mandato”. Zakhari rispose che alcuni ricercatori si dicevano a favore di questo tipo di studi […], ma che era sicuro che Koob avrebbe “speso i soldi della ricerca per la vera scienza”

Zakhari dissente dall’idea di essere rappresentativo delle porte girevoli di Washington e dice che l’articolo del 2015 “riflette la mia opinione scientifica personale”. In una dichiarazione a Mother Jones disse: “Venni a lavorare al Comitato, dopo il mio pensionamento dal National Institute of Health, perché condivido il loro impegno per un consumo responsabile di alcol. La mia attenzione alla ricerca basata sull’evidenza rimane la stessa a prescindere dall’Istituzione in cui lavoro”.

La mia scoperta che bere alcol era un fattore di rischio per il cancro della mammella contraddiceva tutto ciò che pensavo di sapere sul bere. Come il 76% degli Americani monitorati dall’Associazione Americana dei Cardiologi nel 2011, credevo che un po’ di vino facesse bene al cuore. Il fatto è che la gente vuol credere che il vino faccia bene, e in questo campo è facile manipolare la scienza per convincerli.

 

Da tempo gli scienziati sanno che il bere eccessivo provoca ipertensione arteriosa, accidenti cerebro-vascolari e attacchi cardiaci. Ciò perché i primi studi che indagavano sul bere alcol e le malattie cardiache iniziarono con la logica supposizione che chi si astiene dall’alcol dovrebbe avere un basso tasso di cardiopatie rispetto a chi beve in quantità moderata o eccessiva. Ma i risultati non sembrarono confermare questa ipotesi. Quando i loro dati venivano messi su una curva, i bevitori ricadevano in un andamento a forma di J: in quel lavoro le persone astinenti avevano tassi di malattie cardiovascolari simili a quelle dei forti bevitori.

Ma questa curva a forma di J è ingannevole. In questo studio non tutti i non bevitori erano persone astemie come quelle con cui sono cresciuta nell’Utah. L’epidemiologo britannico A. Gerald Shaper iniziò uno studio ad ampio raggio delle cardiopatie nell’uomo verso la fine degli anni ’70 e quando esaminò i dati, trovò che in quel lavoro il 71% dei non bevitori erano in realtà pregressi bevitori che avevano smesso. Era probabile che alcuni di questi ex-bevitori fossero fumatori tanto quanto forti bevitori. Essi avevano il più alto tasso di cardiopatie di qualsiasi gruppo, e altri tassi di ipertensione arteriosa, ulcera peptica, diabete, malattie della cistifellea, e perfino bronchite. Shaper concluse che gli ex-bevitori erano spesso più malati dei forti bevitori che non avevano smesso, cosa che faceva di loro un gruppo di controllo di scarsa qualità.

Tuttavia per decenni i ricercatori continuarono ad includerli e di conseguenza trovarono un numero poco credibile di benefici per la salute nel moderare il bere, compresi bassi tassi di sordità e di cirrosi epatica. L’industria aveva aiutato i medici a produrre questi lavori.

Questa è una delle ragioni per cui, fino a poco tempo fa, i benefici dell’alcol sul cuore erano trattati come una scienza incontestabile. Ma verso la metà degli anni 2000, Kaye Middleton Fillmore, un ricercatore della University of California-San Francisco, decise di studiare gli ex-bevitori di Shaper. Dopo che nessuno negli USA volle finanziare il suo lavoro, lei persuase Tim Stockwell, allora direttore dell’Australia’s National Drug Research Institute, ad aiutarla a garantire il sostegno finanziario del Governo australiano.

 

Stockwell e Fillmore analizzarono il valore di decenni di studio su alcol e cardiopatie. Una volta esclusi gli studi sugli ex-bevitori -che ne rappresentavano la maggior parte- i benefici dell’alcol sul cuore si ridussero drasticamente. Da allora, un mare di studi ha dimostrato che il bere alcol non procura alcun beneficio sul cuore (alcuni lavori hanno trovato che bere piccole quantità di alcol -talvolta meno di un drink al giorno- può essere di beneficio per certe persone a rischio di cardiopatia.) Robert Brewer, che conduce un programma sull’alcol al Centers for Disease Control and Prevention, dice: “Gli studi non sostengono che ci siano dei benefici nel bere moderato”. Nella più recente edizione delle Linee Guida dietetiche statunitensi, il Dipartimento dell’Agricoltura ha rimosso il linguaggio che suggeriva che l’alcol può ridurre il rischio di cardiopatia.

Tuttavia il dibattito si accende, in parte perché l’industria continua a sovvenzionare e promuovere studi che indicano che l’alcol fa bene al cuore. In questo momento il NIAAA si sta avventurando in un altro di questi con un finanziamento di 100 milioni di dollari, la maggior parte dei quali, secondo il New York Times, è stata sollecitata direttamente all’industria. Lo studio è stato pianificato consultandosi con i capi dell’industria e dipinto come un modo per dimostrare che bere poco è salutare. Lo stanno promuovendo come lo studio più preciso, ad oggi, sul bere moderato, ma probabilmente minimizzerà i rischi, in parte perché non durerà abbastanza a lungo da monitorare alcun aumento nei tassi di tumore. Almeno cinque ricercatori nel progetto sono stati in passato beneficiari di elargizioni in denaro da parte dell’industria dell’alcol.

 

“Qual è il punto di questa ricerca [pro-alcol]?” chiede un professore di sanità pubblica. “Anche se vien fuori che ci sono dei reali benefici, non cominceremo certo a raccomandare di cominciare a bere alla gente che non l’ha mai fatto prima”

Gli esperti di salute pubblica dicono che anche se ci fosse un piccolo beneficio sul cuore, questo non potrebbe mai controbilanciare i rischi. L’alcol “non sarebbe mai approvato come una medicina,” dice Jennie Connor, professoressa di medicina preventiva e sociale alla Università di Otago in Nuova Zelanda, che ha scritto uno dei lavori più importanti sul legame tra alcol e tumori. “Dà dipendenza, come gli oppioidi. Se tu dai a qualcuno un farmaco che potrebbe colpire il suo bimbo non ancora nato o che lo renderebbe aggressivo così da picchiare la propria moglie, che razza di farmaco sarebbe? Da un punto di vista di sanità pubblica, l’uso di alcol per le malattie cardiache è completamente sbagliato. Va contro qualunque cosa che i sanitari fanno”.

“Da una prospettiva puramente scientifica, qual è il senso di questa ricerca [pro-alcol]?” si domanda Michael Siegel, professore alla Boston University School of Public Health. “Come sta cambiando la politica o la pratica? Non importa. Anche se si evidenzia che ci sono reali benefici, non ci metteremo certo a raccomandare di cominciare a bere alla gente che non l’ha mai fatto prima”.

Esistono modi più sicuri del bere per ridurre il rischio di malattie cardiache -passeggiare, per esempio- che oltre tutto non ti procureranno il cancro. Ecco perché la Società Americana di Cardiologia consiglia fortemente alle persone di non incominciare a bere, se non l’hanno ancora fatto.

 

Bevvi la mia prima birra quando avevo 13 anni. Mio padre e io eravamo andati a caccia di fagiani in una giornata fredda. Dopo aver messo nel carniere le prede, entrammo nella nostra jeep per riscaldarci, e mio padre mi mise in mano una Mickey’s Big Mouth. Era disgustosa, ma la bevvi per provare che mi meritavo quel gesto da adulto. Quando ebbi finite di bere, mi disse: “Vuoi guidare?” Quello era l’Utah negli anni ’80, almeno se non eri un Mormone.

 

In seguito, frequentai una scuola superiore cattolica, dove ci distinguevamo dai futuri missionari delle scuole statali per il nostro bere eccessivo. Perfino nell’Utah era facile trovare alcolici. C’era Doug al Metro Mart, che ci vendeva birra dal finestrino dell’auto del suo take-away. Quando lui non era nei dintorni, lo rubavamo dai nostri genitori, travasando piccole quantità di bourbon, rum, gin, e vodka e gettando poi tutta quell’orribile mistura in una bevanda dal sapore di cola e succhiandola con una cannuccia.

Me ne andai all’Università dell’Oregon, dove 10 anni prima era stato girato Animal House. Mentre ero lì, l’università decise di dare un giro di vite sui minorenni che bevevano alcolici nel campus. Scoppiarono dei tumulti, e la polizia locale dovette usare i lacrimogeni.

Non ho mai bevuto così tanto come prima di poter comprare legalmente una bevanda alcolica. La mia esperienza non è insolita. Il 90% del consumo di alcol da parte dei minorenni americani è binge drinking, definito come il bere quattro o più drink in una sola occasione, secondo il Center for Disease Control. Non lo saprò mai con certezza, ma tutto il bere della mia adolescenza potrebbe aver spianato la strada al cancro che ho scoperto di avere a 47 anni.

Il tessuto della mammella umana non matura pienamente se la donna non diventa gravida.Prima di allora, e in particolare durante la pubertà, queste cellule proliferano rapidamente, cosa che può renderle vulnerabili in maniera particolare ai carcinogeni. Questa è una delle ragioni per cui non avere gravidanze è di per sé un fattore di rischio. I ricercatori l’hanno compreso da circa 40 anni, grazie agli studi sulle donne di Nagasaki esposte alle radiazioni atomiche. Le donne giapponesi esposte ad esse prima dei 20 anni di età avevano il più alto tasso di tumore alla mammella. Altri lavori suggeriscono che il rischio di cancro mammario premenopausa sale fino al 34% per ogni drink giornaliero assunto prima dei 30 anni di età. E più è lungo il tempo trascorso tra il menarca e il primo figlio, più il bere diventa a rischio.

Con la prima gravidanza a 33 anni, ho avuto modo di danneggiare le mammelle per una buona ventina d’anni col mio bere, e il mio binge drinking adolescenziale può essere stato particolarmente devastante. Il dr. Graham Colditz, specialista nella prevenzione dei tumori ed epidemiologo alla Washington University di St. Louis, scrisse sul British Medical Journal Women’s Health nel 2015 che “le donne che riferiscono  di bere sette drink nel weekend e di non bere nulla negli altri giorni della settimana possono avere un più alto rischio di cancro mammario se paragonate a coloro che bevono tutti i giorni un solo drink.” Uno studio da lui citato trovò un rischio aumentato di quasi il 50% per questo tipo di tumore tra le donne che assumevano 10-15 drink nel corso di un tipico fine settimana rispetto a coloro che non ne consumavano più di tre.

Colditz dice che gli sforzi per la prevenzione dei tumori non hanno tenuto il passo con l’andamento demografico. Poiché le donne in tutto il mondo hanno ritardato le gravidanze, “abbiamo veramente esteso questo periodo della vita in cui la mammella è più suscettibile, e non abbiamo organizzato una strategia preventiva per rispondere ala commercializzazione dell’alcol”.

 

In realtà, nel momento in cui diventava evidente che le donne sono sproporzionatamente vulnerabili a questo genere di rischio, l’industria dell’alcol mise in atto una campagna per farle bere ancora di più. “in tutto il mondo le donne sono consumatrici che rendono poco” spiega Jernigan, ricercatore alla Johns Hopkins che ora è professore alla Boston University School of Public Health. L’industria dei superalcolici, vedendo in diminuzione le vendite creò gli “alcopops”—bevande alcoliche zuccherate quali Zima, Smirnoff Ice e Skyy Blue che sono confezionate in colori brillanti e innocenti. Marlene Coulis, direttrice dei nuovi prodotti alla Anheuser-Busch, spiegò nel 2002 che “il bello di questa categoria di prodotti è che coinvolge nuovi bevitori, gente che davvero non ama il gusto della birra”.

Ma chi sono questi “nuovi bevitori” cui non piace la birra? I dati federali mostrano che l’età media del primo consumo di bevande alcoliche è intorno ai 14 anni, e Jernigan dice che le persone cui non piace il sapore della birra tendono ad essere giovani donne. I fabbricanti di alcolpop riuscirono a convincere le autorità di controllo statali e federali che questi prodotti erano “bevande all’aroma di malto” come la birra, anche se l’ingrediente principale era un superalcolico distillato. Questo titolo permetteva alle compagnie di vendere tali prodotti in minimarket che vendevano anche birra, con un’accisa molto inferiore a quella richiesta per i superalcolici, rendendoli molto più accessibili ai bevitori minorenni. Le compagnie di superalcolici allora bombardarono il mercato giovanile con un’intensa pubblicità che reclamizzava i nuovi prodotti.

Le industrie che fabbricano superalcolici avevano volontariamente rinunciato a fare pubblicità alla radio fin dal 1936 e alla TV dal 1948 al fine di evitare una regolamentazione da parte del Congresso, ma nel 1996 gettarono a mare questo impegno. Tuttavia, la pubblicità di superalcolici alla TV non è decollata pienamente fino alla venuta degli alcopops. Nel 2001, dice Jernigan, c’erano meno di 2.000 avvisi pubblicitari nelle TV via cavo per i superalcolici. Nel 2009, quel dato era schizzato a più di 60.000, e molti di questi avvisi avevano per bersaglio gli spettacoli televisivi con grande numero di spettatori troppo giovani per bere, dal punto di vista legale. Nel 2012, anche i programmi di tutte le più grandi reti televisive abbandonarono questo loro divieto sulla pubblicità ai superalcolici. In una email a Mother Jones, Coulis disse che l’idea che gli alcopops erano destinati ad attirare i bevitori minorenni era una “grossolana mistificazione e una falsità assoluta”.

 

“Stanno commercializzando un cancerogeno. Ti immagini se la Philip Morris producesse un pacchetto di sigarette rosa? La gente prenderebbe le armi”

Tradizionalmente, negli USA i giovani sono stati bevitori di birra, ma nei primi anni 2000 i sondaggi mostravano che le donne stavano sempre più rivolgendosi a roba più forte, e sono rimaste lì. La pubblicità e i prodotti ora dipingono l’alcol come il balsamo per la donna americana fortemente stressata. Ci sono vini chiamati Mother’s Little Helper (”Il piccolo aiutante della Mamma”), Happy Bitch (“La cagna felice”), Mad Housewife (“La casalinga matta”), and Relax. La vodka Her Spirit ti arriva con un fregio che contiene slogan capaci di far presa sulle ragazze come “Bevi responsabilmente. Sogna temerariamente.” Di recente la Johnnie Walker è uscita con uno scotch Jane Walker, per immettere sul mercato un liquore “visto come particolarmente intimidatorio dalle donne”, stando a quanto dice la ditta (la Johnnie Walker è di proprietà della Diageo, un conglomerato di multinazionali dell’alcol. Uno dei membri del comitato della Mother Jones è anche un dirigente della Diageo).

I fabbricanti di bevande alcoliche vendono anche prodotti “dipinti di rosa” destinati alle donne, sistemando letteralmente la pubblicità su nastri rosa (il nastro rosa è il simbolo del cancro della mammella, NdT) e promettendo di donare una parte dei ricavi a enti che studiano il tumore della mammella. Nel 2015, Alcohol Justice, un gruppo di patrocinio degli utenti con base in California, ha trovato 17 marche di bevande “dipinte di rosa”. “Stanno commercializzando un cancerogeno” dice Pezzolesi, un membro dell’Alleanza politica dell’alcol di New York. “Ti immagini se la Philip Morris producesse un pacchetto di sigarette rosa? La gente prenderebbe le armi”.

Le campagne sembrano aver funzionato. Uno studio del NIAAA ha trovato che il bere tra le donne è aumentato del 16% tra il 2001 e il 2013, più del doppio rispetto agli uomini. Il cambiamento è maggiore tra le donne bianche, il 71% delle quali oggi beve alcol, rispetto al 64% nel 1997, secondo un’analisi del Washington Post. Il tasso di morte correlato all’alcol per le donne di razza bianca è più che raddoppiato tra il 1999 e il 2015.

 

La pubblicità è basata sulla grafica: un bicchiere di vino rosso si versa su una tovaglia bianca e comincia a formare l’immagine di una donna. “L’alcol è cancerogeno,” dice il commentatore. “Una volta entrato in circolo, viaggia in tutto il corpo. Ad ogni bevuta, il rischio di mutazioni cellulari nella mammella, nel fegato, nell’intestino e nella gola aumenta. Queste mutazioni cellulari sono anche note come cancro.” Il vino si raggruppa intorno alla donna come sangue, e il commentatore suggerisce di limitare il rischio di contrarre un tumore evitando di bere più di due drink al giorno. Questa campagna pubblicitaria è andata in onda nel 2010 nell’Australia occidentale.

Nel 2013 in Inghilterra, un’organizzazione benefica di salute pubblica ha trasmesso una campagna pubblicitaria che mostrava un uomo che beveva una birra con un tumore sul fondo del bicchiere, tumore che alla fine l’uomo inghiotte, come spiega il commentatore. “L’OMS classifica l’alcol tra i cancerogeni del gruppo 1. Come il tabacco e l’asbesto, può provocare tumori”.

Altri Paesi hanno cominciato a prestare attenzione ai rischi di cancro da alcol. Per la prima volta, nel 2010, l’OMS ha messo a punto una strategia globale per ridurre i danni da alcol. Ha riconosciuto il tumore come uno di quei danni e ha lanciato un appello alle Nazioni perché applichino misure atte a diminuirne il consumo. Molte lo hanno fatto. La Corea del Sud ha ristretto i limiti per l’uso di alcol, e le nuove linee guida danesi incoraggiano la gente a non bere affatto o, se lo fanno, a consumare non più di un drink al giorno. In dicembre, la Camera alta del Parlamento irlandese ha approvato un’etichetta contenente un avviso sul cancro da alcol che ora è in discussione alla Camera bassa. Perfino i Russi hanno aumentato le tasse sulle bevande alcoliche (il Canada ha lanciato di recente un esperimento per verificare questo genere di avvisi sulle etichette nello Yukon, ma il mese successivo ha fermato il progetto per le intense pressioni delle industrie dell'alcol).

 

“Se prendi 1000 donne, 110 si ammaleranno di tumore alla mammella senza aver bevuto alcol,” ha detto l’ufficiale sanitario in capo dell’Inghilterra. “Bevi secondo queste line guida e altre 20 donne avranno il tumore a causa di quel bere”

Nel 2016, la Gran Bretagna ha ridotto le dosi raccomandate per il consumo di alcolici negli uomini allo stesso livello di quello delle donne, circa 6 pinte di birra alla settimana[4]. Sally Davies, ufficiale sanitario in capo dell’Inghilterra, ha detto alla BBC, “Se prendi 1000 donne, 110 si ammaleranno di tumore alla mammella senza aver bevuto alcol,” ha detto l’ufficiale sanitario in capo dell’Inghilterra. “Bevi secondo queste line guida e altre 20 donne avranno il tumore a causa di quel bere. Raddoppia i limiti delle line guida e altre 50 donne su 1000 si ammaleranno di tumore…Questo non è fare dell’allarmismo. Questi sono fatti”.

Non è il tipo di parlare diretto che puoi sentire negli Stati Uniti, dove l’industria sta combattendo per prevenire il fatto che i timori del cancro danneggino i suoi profitti. Nella primavera del 2016 Longwell, dell’American Beverage Institute ha detto ad una conferenza di produttori di birra che i funzionari di salute pubblica “vogliono dirti che l’alcol provoca il cancro,” stando al Wall Street Journal. Questo attivismo, ha suggerito lei, era una minaccia all’”aureola di salute” dell’industria. Ad un’altra conferenza del 2016, Jim McGreevy, presidente del Beer Institute, un gruppo di lobby industriale, ha detto riguardo ai sostenitori della salute pubblica “Non possiamo lasciare che guadagnino in popolarità”. Non ha poi risposto ad una richiesta di commento.

 

Le industrie che producono bevande alcoliche hanno cercato di persuadere i consumatori che essi possono aiutare a combattere il cancro della mammella acquistando prodotti “rosati” a beneficio di enti per la ricerca sul cancro, trascurando del tutto il comprovato rischio di tumore alla mammella da alcol

Per più di 10 anni, l’industria dell’alcol ha abbattuto i regolamenti di salute pubblica di vecchia data concepiti per ridurre il consumo eccessivo di alcolici. Ha organizzato campagne pubblicitarie di successo per permettere la vendita di liquori nei supermercati e di domenica, e per allentare le restrizioni sugli orari in cui i liquori possono essere serviti nei ristoranti e nei bar. Non sorprende dunque che il consumo di alcolici pro capite negli USA, che nel 1997 aveva raggiunto il punto più basso da 34 anni, ha fatto un balzo a livelli mai visti in due decadi.

Le industrie dell’alcol sono corporazioni multinazionali enormi. La AB InBev controlla circa il 50% del mercato statunitense della birra, compreso il marchio tutto americano della Budweiser. Jernigan ha analizzato i dati di Nielsen e ha stimato che l’industria ha speso 2,1 miliardi di dollari in pubblicità nel 2016, un numero che non comprende la pubblicità online e quella nei negozi. L’anno scorso ha speso anche 30,5 milioni di dollari per fare pressione sul Congresso. Il Distilled Spirits Council, che l’anno scorso da solo ha speso 5,6 milioni di dollari per fare pressione a livello federale, tiene degustazioni di whiskey a Capitol Hill[5] frequentate dai Democratici come dai Repubblicani. “L’alcol è il farmaco di scelta delle persone chef anno le leggi”, osserva Jernigan.

Mentre altri Paesi stanno prendendo in considerazione le raccomandazioni dell’OMS di imporre tasse più salate sull’alcol, la legge sulle imposte che il Presidente USA Donald Trump ha firmato in dicembre ha ulteriormente tagliato le accise statunitensi sull’alcol, che, grazie all’inflazione, erano già più basse dell’80% rispetto agli anni ‘50.

 

La spesa dell’industria dell’alcol per fare pressione (lobby)

Koob, direttore del NIAAA, ha partecipato ad eventi al Distilled Spirits Council e si è incontrato con i suoi rappresentanti, stando a documenti ottenuti attraverso una richiesta pubblica di documentazione. Egli ottiene inviti per ricevimenti durante le vacanze dal Beer Institute e si incontra con il suo Amministratore delegato. Nel 2015, Koob e il direttore del NIAAA per la ricerca sull’alcol sono apparsi in un video promozionale per i “brillanti obiettivi globali del bere” della AB InBev, filmato durante un incontro del Comitato Consultivo Globale della AB InBev.

“Abbiamo seguito la procedura normale per l’approvazione qui all’Istituto Nazionale della Sanità, e ci hanno dato l’approvazione per farlo,” dice Koob. “In nessun caso noi promuoviamo le bevande alcoliche o qualsiasi prodotto alcolico. Non è nella nostra natura. Ma se la gente vuole aiutarci a prevenire l’abuso di alcol, noi ci siamo”.

Replica Siegel, dell’Università di Boston: “L’idea intera [dietro la campagna pubblicitaria] è che se tu bevi in maniera adeguata, senza eccedere, va bene. Ma non è vero. Se bevi moderatamente, tu aumenti il rischio di avere un tumore, ed è questo ciò che loro vogliono che la gente non venga a sapere”

 

Dopo che io fui operata per la rimozione de tumore, il mio oncologo mi mandò da un dietologo per malati tumorali lo scorso giugno. La dietologa mi tracciò un regime dietetico triste e così complesso che c’era bisogno di un foglio di calcolo elettronico per rispettarlo. Insieme a più pesce e semi di lino, lei raccomandò cinque porzioni alla settimana di verdure crucifere come i broccoli, così come un sacco di fagioli come supplemento di fibra. Ha messo una pietra sulla pancetta e sulle salsicce (le carni lavorate sono considerate cancerogene). Mi ha dato istruzioni sul nutrirmi con soia naturale come il tofu almeno tre volte alla settimana, ma non con soia lavorata come quella che si trova negli hamburger con verdure grigliate, perché essa può indurre livelli di estrogeni capaci di causare tumori. E mi ha ammonite severamente di non mettere più la crema nel caffè.

L’argomento alcol non è venuto fuori nemmeno una volta. “Ci sono più dati per consigliare una persona di diminuire il suo bere che non per mangiare broccoli o tofu”, dice Noelle K. LoConte, oncologa e professoressa associata all’Università del Wisconsin. Lei sostiene che il messaggio sul legame tra alcol e cancro non è uscito nemmeno tra gli oncologi, e ciò può essere la ragione per cui nemmeno uno dei miei medici ha affrontato questo argomento con me prima o dopo che mi è stata comunicata la diagnosi.

Per affrontare questo problema, in novembre LoConte ha scritto insieme ad altri una dichiarazione a nome della Società Americana di Oncologia Clinica in cui si è ufficialmente dichiarato l’alcol una sostanza che può causare tumori (la Società ha anche commissionato un sondaggio, dal quale è emerso che il 70% degli Americani non aveva idea che l’alcol può provocare il cancro) Nella sua dichiarazione, il gruppo ha invocato misure politiche per ridurre il consumo di alcol e prevenire  tumori, le stesse raccomandate dai chirurghi generali statunitensi, la task force federale della Comunità per l’educazione sanitaria preventiva e l’OMS. Queste misure sono simili alle strategie che hanno portato al crollo dei tassi di fumo di tabacco: accise maggiori, limiti al numero di punti per la vendita di alcol in una particolare area, applicazione più severa delle leggi sul bere da parte dei minorenni, e tetto al numero di giorni o di ore in cui l’alcol può essere venduto.

C’è un’enorme quantità di ricerche che sostengono l’efficacia di queste politiche, e tuttavia non esiste ancora un solo gruppo di salute pubblica a Washington che faccia pressione per esse. I pochi gruppi che una volta davano battaglia alle industrie dell’alcol hanno abbandonato l’impegno in questi ultimi anni. L’American Medical Association (AMA), che era solita concentrarsi sui danni e sul binge drinking nei campus universitari, ha smesso di lavorare sull’argomento alcol nel 2005. Il Ralph Nader-linked Center for Science in the Public Interest si è fermato per una crisi di budget nel 2009. In quello stesso anno, la Robert Wood Johnson Foundation, che per decenni era stata una dei maggiori finanziatori delle iniziative volte a ridurre il bere nei minorenni, si è sostanzialmente tolta da questo settore.

“E’ sorprendente che una delle principali cause di morte premature e di malattia venga ignorata da quasi tutte le fondazioni che lavorano nel campo della salute pubblica”, dice Richard Yoast, che ha condotto i programmi dell’AMA fino al loro termine nel 2005.

 

Nei primi anni 2000, l’industria dell’alcol ha cercato di attrarre nuovi creditori —spesso giovani e donne—con “alcopops,” bevande zuccherate in confezioni dai colori brillanti e innocenti. Ha anche tentato di etichettare l’alcol come salutare mediante annunci pubblicitari in cui comparivano degli atleti

Anche i fondi governativi per la riduzione dei danni da alcol si sono prosciugati. Nel 2009, il budget del Dipartimento della Giustizia per finanziamenti agli Stati per l’applicazione delle leggi sul bere minorile era di 25 milioni di dollari. Entro il 2015, si era ridotto a zero. Su richiesta della Casa Bianca ai tempi di Obama, il Congresso ha anche eliminato un programma del Dipartimento dell’Educazione che combatteva, tra le altre iniziative, il bere minorile.

Senza finanziamenti indipendenti per il lavoro nel campo della salute pubblica sulla politica delle bevande alcoliche, l’industria ha riempito il vuoto, creando organizzazioni non profit che promuovessero il bere “responsabile”. I gruppi industriali le hanno usate per reagire alle notizie su alcol e cancro. Quando io ho chiesto all’Istituto della Birra di rilasciare un commento su questa storia, un portavoce mi ha mandato un link che rinviava all’Alleanza internazionale per il bere responsabile, un’organizzazione non profit sovvenzionata dalle maggiori compagnie mondiali dell’alcol, e ha citato una riga del rapporto: “Il legame più chiaro del rischio di tumore è con il bere eccessivo, in particolare con il bere eccessivo e regolare esteso per lunghi periodi di tempo”.

 

“La consumatrice è vista come la parte del mercato dell’alcol che ha bisogno di ricevere maggiori attenzioni. La donna che beve è l’ultima delle persone che tu vuoi che sia un consumatore pienamente informato”

Mark Petticrew, professore di salute pubblica alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, ha di recente pubblicato uno studio in cui si vede che i siti internet di molte industrie dell’alcol e le organizzazioni non profit hanno deliberatamente ingannato il pubblico sul legame tra alcol e cancro. Essi hanno suggerito che solo i bevitori problematici presentano un elevato rischio di tumore e mostrano lunghe liste di altri fattori di rischio per confondere i lettori, soprattutto quando si giunge al cancro della mammella. “Le consumatrici sono più consapevoli riguardo alla salute rispetto ai loro colleghi maschi”, spiega Petticrew. “La consumatrice è vista come la parte del mercato dell’alcol che ha bisogno di ricevere maggiori attenzioni. La donna che beve è l’ultima delle persone che tu vuoi che sia un consumatore pienamente informato”.

Negli ultimi 30 anni, coloro che sono sopravvissute sono diventate una forza politica notevole consapevoli dei loro diritti, raccogliendo milioni di dollari per la ricerca e la formazione. Ma le degustazioni di vino sono un elemento basilare degli eventi volti a procacciare fondi per la ricerca sul cancro della mammella. Il Lombardi Comprehensive Cancer Center presso la Georgetown University da più di dieci anni tiene annualmente una raccolta di fondi battezzata “donne e vino”. Si sono moltiplicati eventi denominati “Birre per il cancro della mammella”. In ottobre, la American Cancer Society ha lanciato il suo quarantesimo gala annuale Wine and Spirits Industry nella città di New York “per sostenere la missione della Società di eliminare il cancro come problema sanitario primario”.

In risposta alle domande formulate da Mother Jones,  il Dr. Richard Wender, capo dei funzionari responsabili per il cancro per la American Cancer Society, dice che l’alcol è molto meno pericoloso del tabacco. “Il nostro scopo -sostiene- è di trovare il giusto equilibrio che permetta alle compagnie di impegnarsi con noi, restando noi coerenti ai valori in cui crediamo e alla nostra missione di salute pubblica”.

 

Più gettavo lo sguardo dentro ai conflitti di interesse tra i responsabili dell’informazione presso l’opinione pubblica sui rischi per la salute legati all’alcol, più ho cominciato a riconoscere il coinvolgimento del mio settore di lavoro. La stampa, che a cominciare da Morley Safer ha inondato i lettori di storie in cui si diceva che bere fa bene alla salute, ha ripetutamente accettato le regalie delle industrie che producono bevande alcoliche. Nel 2016, il Wall Street Journal ha sponsorizzato un ricevimento con il Distilled Spirits Council alla Convention nazionale dei Repubblicani. Nell’aprile 2017, il comitato e l’Istituto della birra hanno aiutato a pagare un ricevimento denominato “Brindisi al primo emendamento”[6] con RealClearPolitics[7].

Nel 2016, il presidente del Distilled Spirits Council, Kraig Naasz, ha scritto in una newsletter inviata per email che il gruppo aveva di recente offerto a scrittori di varia estrazione dei cocktails presso un bar di New York durante un pranzo in cui si parlava di alcol e salute. A cercare di abbordare i giornalisti pensava Zakhari, un tempo scienziato del NIAAA. “I conduttori mettevano in rilievo che un consumo moderato di alcol può essere inserito nella dieta sana di una persona adulta”, ha riferito Naasz.

La Fondazione Advancing Alcohol Responsibility, sovvenzionata da compagnie come Bacardi e Diageo, ha pagato dei giornalisti perché partecipassero l’anno scorso a seminari tenuti dall’Istituto Poynter, autoproclamatosi guardiano dell’etica dei giornalisti. “Il conflitto di interessi è così grande che mi fa rimanere senza fiato”, ha detto Marion Nestle, nutrizionista presso la New York University, alla Health News Review quando ha reso pubblica la storia su  Poynter. “L’industria dell’alcol vuole giornalisti che celebrino gli (asseriti) benefici per la salute derivanti dal bere alcol e che ne minimizzino i rischi”.

Kelly McBride, vice presidente del Poynter, dice che il coinvolgimento della Fondazione non toccherà il contenuto del seminario e che l’istituto potrà collaborare ancora con la fondazione. “Sono una Fondazione non profit che promuove un consumo responsabile di alcol”, ha scritto in una emali. “Hanno finanziato seminari in cui noi insegnavamo ai giornalisti ad applicare le competenze di controllare i dati alla ricerca scientifica. Ciò sembra una coerente sovrapposizione di obiettivi”.

Susan Sontag ha scritto una volta che parlare alla gente della propria diagnosi di tumore  tende a riempirli di una paura mortale. Ma quando ho svelato la mia malattia agli amici e gli ho detto che l’alcol può causare il tumore della mammella, non ho evocato abbastanza timore della morte da dissuadere alcuno di loro dall’ordinare un secondo drink. La maggior parte delle donne non ha la minima idea che bere provoca il cancro della mammella, e davvero non vogliono che glielo si dica.

Marisa Weiss, oncologa e fondatrice di BreastCancer.org, tiene lezioni nei campus delle università, dove spiega alle giovani donne i rischi di tumore che corrono bevendo alcol. “Vedo che quelle medesime persone si sbronzano completamente quella sera stessa”, si lamenta. Ma capisce perché. “E’ perché la vita è come una donnaccia”, dice. “Lavoriamo per lunghe ore, e l’alcol diventa come un’auto-medicazione. E’ rilassante. E’ divertente”.

 

Io l’ho provato. Ma sai cosa non è divertente? Guardare entusiasta tua figlia di dieci anni e respirare affannosamente dopo che le hai detto di avere un tumore. O avere un ago lungo 15 cm pieno di colorante radioattivo conficcato ripetutamente nel capezzolo, senza anestesia, così che il chirurgo possa vedere se il tumore si è diffuso ai linfonodi. O uscire presto dal lavoro mentre aspetti i risultati della biopsia perché le tue mani stanno tremando così tanto che non riesci a scrivere con il computer. Il cancro non è divertente, in maniera molto oltre l’ovvio. E in termini relativi, ho avuto una vita più facile finora. Sono ancora viva.

 

Alcuni mesi fa, ho inserito i miei dati nel calcolatore del National Cancer Institute per il rischio di cancro alla mammella per vedere quali erano state le mie probabilità prima che scoprissi di avere un tumore. La valutazione dei fatti più salienti mostrò che avevo un rischio dell’1,1% di avere un tumore alla mammella nei prossimi cinque anni. Il calcolatore non teneva conto del mio consumo di alcol (o dell’effetto protettivo dell’esercizio fisico e dell’allattamento al seno), ma gli esperti con cui avevo parlato dissero che probabilmente gli alcolici avevano aumentato il rischio.

Non saprò mai con certezza se l’alcol mi ha causato il cancro. Ci sono così tanti fattori in gioco: solo qualche mese fa, uno studio danese ha trovato che usare degli anticoncezionali innalza il rischio di cancro mammario più di quanto supposto finora. Ciò che so è che tagliare sul bere, particolarmente quando ero giovane, era virtualmente l’unica cosa che avrei potuto cambiare nel mio stile di vita per cercare di prevenire questo tumore se fossi stata adeguatamente informata. Ora ho rinunciato quasi del tutto all’alcol per cercare di salvaguardarmi da una recidiva. Non posso dire di essere sicura che avrei fatto lo stesso, se qualcuno, quando avevo 15 o 20 anni, mi avesse detto che bere alcol avrebbe potuto provocarmi un tumore alla mammella. Mi piacerebbe pensare così –non ho mai fumato- ma non sono sicura che non sarei stata anch’io come gli studenti ai quali Weiss parla. Loro hanno almeno una scelta; gli è stato detto dei rischi che corrono. Come la maggior parte delle donne, io non ebbi quella scelta, e un’industria potente ha lavorato per mantenere quel modo di fare.

 

https://www.motherjones.com/politics/2018/04/did-drinking-give-me-breast-cancer/

 

[1] Il bisfenolo A (BPA) è una sostanza chimica usata prevalentemente in associazione ad altre sostanze chimiche per produrre plastiche e resine (da https://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/bisphenol).

 

2 BRCA1 è un gene oncosoppressore che codifica per una proteina, denominata proteina di suscettibilità al cancro della mammella tipo 1 (dall'inglese Breast Cancer Type 1 susceptibility protein), che interviene nel controllo del ciclo cellulare.

BRCA2 (dall'inglese Breast Cancer Type 2 susceptibility protein, proteina di suscettibilità al cancro della mammella tipo 2) è una proteina che negli esseri umani è codificata dal gene BRCA2. Si trova sul cromosoma 13. BRCA2 appartiene alla famiglia dei geni oncosoppressori[2][3] e il suo prodotto genico è coinvolto nella riparazione dei tratti cromosomici danneggiati, con un ruolo importante nella riparazione degli errori e delle rotture nel doppio filamento di DNA (da https://it.wikipedia.org/wiki/BRCA).

 

3 La NASCAR, ossia la National Association for Stock Car Auto Racing, è una joint venture statunitense di proprietà e gestione familiare che organizza e gestisce vari campionati automobilistici, principalmente negli Stati Uniti e in Canada (da https://it.wikipedia.org/wiki/NASCAR).

 

4 Una pinta inglese (o pinta imperiale) corrisponde a 56 cl (https://it.wikipedia.org/wiki/Pinta_(unità_di_misura)

 

5 Capitol Hil è la collina di Washington DC, la capitale degli Stati Uniti d’America, dove sorge il Campidoglio, sede ufficiale dei due rami del Congresso degli Stati Uniti (https://it.wikipedia.org/wiki/Campidoglio_(Washington) ).

 

6 Il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti. Esso, inoltre, proibisce al Congresso degli Stati Uniti di "fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione".

 

7 RealClearPolitics è un aggregatore di dati sulle votazioni e su notizie politiche con sede a Chicago costituitosi nel 2000.

 

 

[1] Il bisfenolo A (BPA) è una sostanza chimica usata prevalentemente in associazione ad altre sostanze chimiche per produrre plastiche e resine (da https://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/bisphenol).

[2] BRCA1 è un gene oncosoppressore che codifica per una proteina, denominata proteina di suscettibilità al cancro della mammella tipo 1 (dall'inglese Breast Cancer Type 1 susceptibility protein), che interviene nel controllo del ciclo cellulare.

BRCA2 (dall'inglese Breast Cancer Type 2 susceptibility protein, proteina di suscettibilità al cancro della mammella tipo 2) è una proteina che negli esseri umani è codificata dal gene BRCA2. Si trova sul cromosoma 13. BRCA2 appartiene alla famiglia dei geni oncosoppressori[2][3] e il suo prodotto genico è coinvolto nella riparazione dei tratti cromosomici danneggiati, con un ruolo importante nella riparazione degli errori e delle rotture nel doppio filamento di DNA (da https://it.wikipedia.org/wiki/BRCA).

[3] La NASCAR, ossia la National Association for Stock Car Auto Racing, è una joint venture statunitense di proprietà e gestione familiare che organizza e gestisce vari campionati automobilistici, principalmente negli Stati Uniti e in Canada (da https://it.wikipedia.org/wiki/NASCAR).

[4] Una pinta inglese (o pinta imperiale) corrisponde a 56 cl (https://it.wikipedia.org/wiki/Pinta_(unità_di_misura)

[5] Capitol Hil è la collina di Washington DC, la capitale degli Stati Uniti d’America, dove sorge il Campidoglio, sede ufficiale dei due rami del Congresso degli Stati Uniti (https://it.wikipedia.org/wiki/Campidoglio_(Washington)).

[6] Il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti. Esso, inoltre, proibisce al Congresso degli Stati Uniti di "fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione".

[7] RealClearPolitics è un aggregatore di dati sulle votazioni e su notizie politiche con sede a Chicago costituitosi nel 2000.