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News di Alcologia

Mamma non devi bere...

Mamma non devi bere...

MAMMA, NON DEVI BERE

 

Lo specchio diceva: sei una nullità.

 

La mia storia è uguale a tante altre, la storia di una donna che beveva per dimenticare se stessa.

Ho cominciato a bere da bambina ... un dito di vino fa bene e fa buon sangue e più tardi, allegra e spensierata. Intorno ai quindici anni, già insoddisfatta di tutto, insicura e timida, avevo paura di decidere della mia vita, mi aggrappavo agli altri per potere dire: “E’ tutta colpa tua!”.

Viziata e coccolata fino alla nausea, non avevo il tempo per ap­prezzare l’amore che mi circondava, troppo occupata a invidiare chi, a mio giudizio, aveva più di me e quindi più fortunato.

L’alcol lo conoscevo vagamente: ci si incontrava qualche volta e ripensandoci non si stava male assieme, anzi mi piaceva.

Con il bicchiere in una mano e la sigaretta nell’altra mi sentivo più grande, più donna. Dietro a un bicchiere potevo nascondere il mio disagio e le mie paure.

Passano gli anni: altre prove da superare, altri mostri da affron­tare. Alla ricerca di un lavoro, quanta paura!

E’ in questo periodo che inizio ad apprezzare la mia amicizia con l’alcol. E’ discreta, non è invadente, mi consola dopo una sconfitta o assieme si festeggia una vittoria, Il mondo ora non mi fa più paura, ho il mio amico alcol che mi sostiene contro tutto e tutti.

La vita continua: il lavoro, il marito, una figlia e ... una madre. Condividere la casa con lei mi fece sentire ospite a casa mia, che orro­re! Bisticci, pressioni, la mamma da una parte, il marito dall’altra: pe­rennemente tra l’incudine e il martello.

Io volevo una casa mia, ed era sera, al colmo dell’insoddisfazio­ne, decisi di prendermi una sbornia. Fu l’inizio della fine.

In quel momento mi accorsi di quanto era facile bere e andare a letto, non vedere, non sentire: quanto era facile fuggire.

Finalmente una casa tutta mia, da gestire a mio piacere ma non certo la casa che avevo sempre sognato: bella, grande, con grandi finestre che guardano il mare. Era una casa grande, sì, ma quante sca­le, un orrendo linoleum per terra e il tetto a spiovere sugli abbaini. Quanto ho odiato quegli abbaini.

Intanto tutto cresce intorno a me e io divento sempre più picco­la, sempre più imbottigliata nelle mia paure, dall’angoscia, dai sensi di colpa. Le bottiglie nascoste un po’ dovunque, nei posti più impensabili. Quanto furba mi sentivo!

Alla mattina, una dietro l’altra, sul tavolo della cucina, tutte le mie bottiglie così furbescamente nascoste, tutte in fila dalla più piccola alla più grande. Quanta rabbia, quanti rancori, quanta vergogna. Come potevo alla sera affrontare lo sguardo accusatore di mio marito? Risentire la stessa identica frase: “Perché bevi?”.

Un pomeriggio, svegliandomi con il mal di testa, tipico del dopo sbronza, leggo graffiato sul muro sopra il letto, con mano incerta: “Mam­ma non devi bere”. Credo sia stata la prima frase concreta messa in­sieme da mia figlia in prima elementare.

Eppure volevo smettere di bere, cercavo disperatamente al di fuori di me stessa una qualsiasi motivazione per farlo.

Un figlio, un altro figlio, che sciocca che sono stata a non pen­sarci prima. Certo per lui riuscirei a farlo.

Quattro volte ci ho provato. Quattro gravidanze interrotte tutte intorno al quinto mese, mettendo e repentaglio la mia vita.

L’ultimo nato al settimo mese è morto quasi subito perché non è riuscito a superare una crisi di astinenza da alcol.

Non ero ancora stanca, ormai avevo imparato a convivere con il mio perenne malessere; in poche parole mi ero abituata a stare male, non potevo immaginarmi un altro modo di vivere.

Arriva il tanto sospirato appartamento. Grande, i pavimenti tirati a cera, i soffitti alti. C’era tanta luce e tante finestre, al pari degli abbaini, se non di più.

Smetto per mia figlia, per il lavoro. Giuro, prometto, piango e bevo. Quanti anni trascorsi bevendo alla ricerca di me stessa, gonfia di alcol e di superbia. Lavorare? Sempre più difficile. Le sbronze alla sera diventavano sempre più frequenti e conciliarle con l’alzarmi la mattina era sempre più difficoltoso.

Per il mio medico ero diventata un’ammalata problematica.

I periodi di malattia diventavano sempre più frequenti. Sono ar­rivata al punto di farmi operare di appendicite pur di non ammettere, neppure a me stessa, di avere bisogno di una disintossicazione.

Dopo tre lettere di richiamo da parte della ditta per la quale lavoravo, decisi: “Per il mio stato di salute e perché ho una figlia che è in quinta elementare e ha bisogno della mamma, mi licenzio e do inizio alla mia nuova vita di casalinga”. Questo per me ha significato: via libe­ra all’alcol.

Il bere la mattina non era più un problema. Potevo farlo tranquil­lamente e andare a dormire. Bevevo, volevo morire e l’alcol mi sem­brava la via più facile.

Dove ho nascosto la bottiglia ieri sera? Cercavo con frenesia quel goccio di alcol tanto per fermare il tremito delle mani e potermi trascinare al supermercato per comprarne altro.

Alcolisti Anonimi. Dove ho letto queste parole? In un trafiletto di un giornale locale. Sette mesi ho indugiato, lo conservo chiuso nel portamonete. Sette mesi più ubriaca la mattina che la sera.

Poi un giorno allo specchio mi vidi per quella che in realtà ero:

una nullità messa in ginocchio dall’alcol che avevo usato per fuggire da me stessa.

La porta del Gruppo di A.A. si apre: “Ciao, io sono un alcolista, siediti con noi”. E io mi sono seduta, finalmente al sicuro, tra persone con il mio stesso problema. “Anche oggi non ho bevuto. E’ facile, per me, ora, riuscire a farmi forza e coraggio, ci siete tutti voi con le vostre testimonianze e la vostra serenità. Approfitto anche della vostra pa­zienza, del vostro tempo. Al posto dell’alcol ho bevuto le vostre paro­le, riuscendo nel confronto a scoprirmi nuova. Voi con la vostra espe­rienza da una parte, io dall’altra con la mente aperta ai vostri suggeri­menti, ho iniziato a percorrere una strada nuova che mi auguro molto lunga”.

Ora a volte mi accade di aprire la porta del Gruppo a quel qual­cuno che per la prima volta bussa, e di rivedermi come in uno spec­chio. Allungo una mano e stringo l’altra tra le mie, a volte sudata e calda, a volte tremante. Quella mano mi ricorda sempre la mia, quanta paura, quando sono arrivata per la prima volta!

Sorrido e mi ritorna in mente la frase che mi accolse: “Sono un alcolista, entra e siediti con noi”.

Il mio cuore è pieno di gratitudine per voi tutti.

Certo, non è stato facile ma nulla è impossibile quando si tratta della vita.

 

Piera