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Patussi: «Contro l'alcol si fa poco»

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L'opinione di Patussi, responsabile del Centro alcologico toscano
«L'ordinanza si preoccupa solo della sicurezza»
ALESSANDRO PATTUME
PRATO. L'abbiamo visto discutere animatamente a Porta a Porta con il ministro dell'agricoltura Zaia. Argomento della trasmissione i problemi e i pericoli causati dall'abuso di alcol. Valentino Patussi, responsabile del Centro Alcologico della Regione Toscana, lotta tutti i giorni per tenere accesi i riflettori su un concetto ben preciso: l'alcol fa male e per combatterne l'abuso si fa ancora troppo poco. Gli abbiamo fatto leggere l'ordinanza che da venerdì sera vieta la vendita da asporto e la consumazione di alcolici all'esterno dei locali dalle 20 alle 7.
Professor Patussi, cosa pensa dell'ordinanza entrata in vigore venerdì scorso a Prato?
«Da medico, se si tiene conto che non solo è aumentato il consumo di alcol ma lo sono anche gli incidenti stradali e i ricoveri ad esso legati, non posso che essere soddisfatto del divieto appena istituito a Prato. Sempre che venga fatto rispettare a dovere. Però ci sono alcuni aspetti che mi lasciano perplesso lo stesso, perchè in questo caso il divieto di consumo mira soprattutto a tutelare la sicurezza e il decoro urbano. Il problema in realtà è a monte e riguarda chi vende alcol e come lo vende, e il patrimonio umano impersonato da chi lo consuma. Se nell'ordinanza ci fossero stati riferimenti a questi concetti, insieme magari alla promuozione di corsi sull'alcol per gli esercenti e per i giovani, allora il provvedimento avrebbe assunto un altro valore».
In che senso?
«Esistono diverse leggi riguardo l'alcol e il suo consumo. Per esempio, il divieto di vendita di alcolici ai minori di 16 anni risale al 1935. Viene rispettato? A volte mi domando se il commerciante che vende alcolici ai minori di 16 anni si chiede mai se venderebbe suo figlio per quei 5 euro, come minimo, che riscuote per ogni cocktail. Non ci sono solo le leggi, che occorre far rispettare, ma anche problemi legati alla responsabilità di chi vende alcolici e che grazie ad essi guadagna cifre immense. Basti pensare che se il costo medio di un cocktail è di 5 euro, per farlo non vengono spesi più di 30 centesimi. Quindi mi sembra importante anche non fare discriminazioni tra chi vende alcolici, ma trattare tutti alla stessa maniera. Nelle discoteche la bevuta è compresa nel biglietto d'ingresso, nella maggior parte dei locali non esistono alternative valide al cocktail alcolico. Responsabilizzare chi vende significherebbe fargli capire che dovrebbero offrire qualcosa di veramente alternativo all'alcol e che se non lo fanno istigano commercialmente al suo consumo i nostri figli».
Allora in che modo bisognerebbe intervenire?
«Quando si parla d'alcol bisogna sempre ragionare per alternative economiche. La lotta intestina tra esercenti di un certo tipo e produzioni artigianali, notoriamente meno soggette a regole, è storia. Servirebbe una vera cultura dei controlli e una nuova cultura sull'alcol. Alzare il divieto di vendita a 18 anni, aumentare i controlli alcolemici e favorire l'apertura di esercizi che vendono prodotti analcolici. E poi i controlli a random dei locali. Lo si circonda e si controlla se ci sono minorenni. I minorenni vengono avviati a percorsi come il volontariato, ai genitori si fa pagare una multa simbolica di 50 euro e si fa loro frequentare un corso d'informazione sull'alcol. Al locale invece si fa un avviso, poi una multa di diecimila euro e se viene ribeccato lo si tiene chiuso per 6 mesi.
Cosa impedisce di applicare queste regole?
«Due cose fondamentalmente. La prima è sicuramente che il costo dei controlli, per i comuni, è quasi insostenibile. Dall'altra c'è anche un discorso politico. Io credo che far rispettare le regole, su questo tema, non sia nè di destra nè di sinistra».