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Più tossicodipendenti in carcere: considerazioni

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Dal 2006, il numero di nuovi detenuti con problemi di dipendenza cresce mentre diminuiscono gli affidati alle strutture terapeutiche. I dati in un dossier presentato a Torino
di Giovanna Dall'Ongaro
A tre anni dalla sua entrata in vigore, la legge Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze mostra uno dei principali effetti sul sistema penitenziario: "Il numero dei tossicodipendenti in carcere cresce significativamente, mentre il meccanismo di presa in carico da parte del sistema delle misure alternative sembra inceppato". Lo denuncia Alessio Scandurra, ricercatore presso la Fondazione Michelucci, in un dossier dal titolo "Tossicodipendenze e carcere: tre anni di legge Fini-Giovanardi", presentato al convegno "La Governance nel settore delle dipendenze. Il ruolo delle Regioni e P.A. Scenari attuali e prospettive" che si è chiuso lo scorso 2 dicembre a Torino.

Già ampiamente contestata per alcuni aspetti del suo impianto repressivo, come l'inasprimento delle pene per detenzione e spaccio (reclusione da sei a vent'anni), l'equiparazione tra droghe leggere e pesanti, l'inversione dell'onere della prova per chi viene trovato in possesso di quantità lievemente superiori all'uso personale (spetta cioè al consumatore dimostrare che la droga in eccesso non è destinata ad altri), la normativa 49/2006 appare agli occhi di Scandurra sempre meno difendibile. Perché fallisce proprio là dove pretendeva di avere individuato la soluzione: se l'obiettivo era quello d'incentivare l'accesso dei tossicodipendenti alle misure alternative, il risultato ha ampiamente deluso le aspettative. Non è servito a nulla, dice Scandurra, avere aumentato da 4 a 6 anni il limite di pena entro il quale può venire concesso l'affido terapeutico, se poi il resto della legge rema contro qualunque sistema di pena alternativo al carcere.

La normativa del 2006 ha infatti introdotto parametri più rigidi per la certificazione di "tossicodipendente" necessaria per accedere a un programma terapeutico, ha attribuito maggiore potere discrezionale al tribunale di sorveglianza che può valutare in completa autonomia l'utilità di un determinato trattamento e ha stabilito che l'affidamento terapeutico possa essere concesso non più di due volte. Una recente indagine di "Forum droghe" realizzata in Toscana ha dimostrato che i Sert di quella regione non si sono ancora adeguati alle indicazioni della legge per la certificazione della tossicodipendenza, provocando così l'automatico respingimento delle richieste.

Il risultato di tutto ciò si riassume così: alla fine del 2008 su 14.700 tossicodipendenti in carcere (26 per cento del totale dei detenuti), quelli in affidamento terapeutico erano poco più di 1.200. E sempre nel 2008 i tossicodipendenti che hanno varcato la soglia delle patrie galere sono stati 30.528, il 33 per cento del totale degli ingressi, il dato più alto degli ultimi otto anni (nel 2007, i tossicodipendenti rappresentavano il 27 per cento dei nuovi detenuti). Basterebbero queste cifre a dirci che "di fatto, a oggi il sistema penitenziario nazionale, con buona pace di tutti, resta la più grande struttura socio riabilitativa del paese".

Insomma la Fini-Giovanardi sembra avere avviato una "vera e propria crociata contro il sistema delle misure alternative", dice Scandurra. E non smentisce la sua vocazione sanzionatoria neanche nel contrasto all'uso personale di stupefacenti. Nella vecchia normativa (Dpr 309/90) la sanzione amministrativa prevista per la violazione dell'articolo 75 (uso personale) poteva venire annullata scegliendo di seguire un programma terapeutico, ora le due strade non sono più alternative e dunque la terapia si presenta agli occhi del consumatore come un "onere aggiuntivo" che non vale la pena sobbarcarsi. Così, dal 2004, le sanzioni sono cresciute del 76,9 per cento e le richieste di programma terapeutico calate dell'88,4 per cento.

Da tutto ciò sembra evidente che la strategia antidroga del nostro paese si regga esclusivamente sulla repressione. Gli altri tre pilastri indicati dall'Ue come ugualmente indispensabili nel contrastare la diffusione degli stupefacenti, cioè prevenzione, terapia e riduzione del danno, non hanno mai avuto lo stesso riconoscimento. Tanto che lo Stato spende 1.862.030.851 per le tre voci sociosanitarie e 2.469.337.029 per la strategia repressiva voluta dalla legge (Dati della Relazione al Parlamento del 2008). Siamo sicuri che sia la strada giusta?