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Se l'alcol è la prima causa di morte per gli under 24

Se l'alcol è la prima causa di morte per gli under 24

Se l'alcol è la prima causa di morte per gli under 24

Dilaga l’abitudine dell’ubriacatura in “branco”, un rischio che cresce soprattutto d’estate, anche tra i minori. Abbiamo girovagato per locali mondani e raccolto diverse voci

 

Bevono. Soprattutto fuori pasto. Soprattutto nel fine settimana. E non importa se le statistiche dell’Osservatorio nazionale presso l’Istituto superiore di sanità dicono che l’alcol, considerando anche gli incidenti stradali in stato di ebbrezza, sia la prima causa di morte per i giovani sotto i 24 anni. Incuranti dei pericoli, i ragazzini, a partire già dagli 11 anni, si sentono meno “fragili” con un bicchiere in mano. E così circa 800 mila minorenni ogni anno mettono a rischio la propria vita e la propria salute con “shottini” e drink. Un fenomeno in crescita, quello del cosiddetto binge drinking, cioè dell’assunzione di più bevande alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo. Un’abitudine ormai diffusa e consolidata per il 17 per cento degli adolescenti che allarma medici e genitori. «I danni al cervello sono permanenti», dicono gli esperti. Ma anche tra gli adulti, c’è chi è più attento ai guadagni che alla salute di adolescenti e giovani. Insieme con le voci di ragazzi e genitori, anche qualche consiglio per intervenire prima che sia troppo tardi.

DATI PREOCCUPANTI

Fonte: Istituto nazionale di sanità

In Italia l’alcol è la prima causa di morte per i ragazzi sotto i 24 anni (compresi gli incidenti d’auto), ma anche di patologie e danni ad altri e rappresenta uno dei quattro fattori di rischio, insieme a fumo, dieta scorretta e sedentarietà, oltreché per i principali gruppi di patologie non trasmissibili: malattie cardiovascolari, tumori, malattie polmonari croniche e diabete.

Consumo di alcol: a fronte di una riduzione del consumo di vino ai pasti, aumenta progressivamente il consumo occasionale di bevande alcoliche e al di fuori dei pasti, condizione ancor più dannosa per le patologie e le problematiche correlate: dal 42,2% del 2015 al 43,3% del 2016. Aumenta anche il numero dei consumatori occasionali (dal 26,9% al 27,9%).

Consumatori a rischio: la prevalenza dei consumatori a rischio è stata nel 2016 del 23,2% per gli uomini e del 9,1% per le donne di età superiore a 11 anni, per un totale di circa 8 milioni 600 mila persone. Le fasce più a rischio sono quella dei 16-17enni, che non dovrebbero consumare bevande alcoliche, e quella dei “giovani anziani” (65-75 anni). 800 mila minorenni sono consumatori a rischio.

Aperitivi e superalcolici: negli ultimi 10 anni c’è stata una progressiva riduzione della quota di consumatori che bevono solo vino e birra, specie fra giovani e donne, mentre sono aumentati coloro che consumano aperitivi, amari e superalcolici.

 

Quei figli bravi, educati e sbronzi

Non dipende dalla posizione sociale: il “mal di bere” insidia famiglie insospettabili. Come confermano queste drammatiche testimonianze

«Non voglio apparire drammatico, ma ricordo benissimo quel giorno. Ero a Parigi per lavoro quando ho ricevuto la telefonata di mia moglie. Disperata. Era all’ospedale perché la nostra Annina (17 anni) era stata ricoverata per coma etilico… Pensavo fosse uno scherzo». Tempo di salire sul primo aereo per Roma e arrivare lì «e il peggio era passato», continua Luca (52 anni). «Annina si era rimessa, ma io ho cominciato a guardare lei e i suoi amici con occhi diversi e a farmi molte domande».

Chiedere ai genitori di parlare dei problemi dei figli adolescenti con l’alcol non è facile. Chi ha accettato ha chiesto di non essere riconosciuto, ma ha voluto raccontare sia per sfogarsi che per lanciare l’allarme, perché quando succede a ragazze come Anna, carina, educata, brava a scuola, educatrice all’oratorio, nessun fidanzato ma tante amiche, si è costretti a rivedere i propri termini riguardo l’identikit dei ragazzi che bevono. «Abbiamo parlato tanto, lei si vergognava e non sapeva spiegare perché, alla festa di Natale del suo liceo, non era riuscita a smettere di ingurgitare uno dietro l’altro quei maledetti “shottini”». Quei minidrink alcolici serviti in bicchieri piccolissimi, che inducono i ragazzi ad abusarne senza quasi accorgersene, per la facilità con cui si bevono e per il prezzo. «Annina si è spaventata», continua il suo papà. «Spero che questa prima esperienza con l’alcol così traumatica possa essere la sua fortuna».

Lorenzo, invece, a quanto raccontano i genitori Marco e Bianca (55 e 54 anni), non riesce, nonostante i discorsi di genitori e capi scout, a rendersi conto della pericolosità del comportamento. «Spesso quando esce la sera con gli amici torna a casa ubriaco. Lo capisco, perché va subito in bagno a vomitare», racconta la mamma.

«Ora ha 20 anni ma gli succede, non sempre ma purtroppo neanche di rado, da quando aveva 16 anni. Quando va bene è “solo” un “po’ brillo”, come dice lui. Non vi dico le discussioni e i miei pianti. Anche davanti alla mia richiesta di parlare con uno specialista, perché secondo me il suo è un problema». Ma Lorenzo dice ai suoi di non preoccuparsi, semplicemente non regge l’alcol e quindi ogni tanto, se beve a stomaco vuoto, finisce per vomitare. Ma non per questo ha intenzione di controllarsi. «Dice che alle feste ci si annoia se non c’è da bere. Io ne parlo tanto con le altre mamme. «C’è chi dice che esagero a preoccuparmi, perché è un momento di passaggio e lui, poi, nella vita di tutti i giorni “è così un bravo ragazzo…”. Vorrei aiutarlo, ma è impossibile e mi sento una pessima madre. Un po’ mi vergogno di avere un figlio che beve. Anche perché io sono astemia e proprio non capisco questa passione per gli alcolici».

«Dopo che ho visto Sara (16 anni) tornare a casa “storta” ben due volte, ho capito che su questi ragazzi dalla faccetta pulita bisogna tenere lo sguardo vigile. Ma non so cosa fare e a chi chiedere aiuto. Mia figlia si offende quando provo a parlarne e mi dice che la considero un’alcolizzata ma che lei non lo è…». Questo lo sfogo di Paola (49 anni), che ha altre due figlie di 14 e 12 anni. «Sono rimasta male quando le sorelle l’hanno vista ubriaca dopo una serata con gli amici e ancora di più perché lei è sempre stata brava e ubbidiente… ho paura del cattivo esempio che potrebbe dare alle piccole». Paola discute spesso con il marito perché porta il vino in tavola: «Sono così preoccupata che vorrei che non accompagnasse più i nostri pasti. Mio marito sostiene, invece, che basta imparare a bere il buon vino. E che il problema sono i superalcolici che i ragazzi trovano in discoteca e la moda degli aperitivi». Lei, invece, vorrebbe che fossero i genitori a dare il buon esempio.

«La cosa che mi ha colpito di più è sentir raccontare da Sara che in fondo non ama bere, ma che è solo un modo per sciogliersi e sentirsi meno timida. Che tristezza e che paura. Per me è come se non sapessero più avere relazioni al naturale ma solo viziate dal coraggio che regala l’alcol».

A CHI E DOVE CHIEDERE AIUTO

Le persone alcoldipendenti spesso non ammettono di avere un problema e rifiutano il dialogo sull’argomento. Talvolta anche i loro familiari tendono a negare o minimizzare il problema. Esistono servizi pubblici di Alcologia che si occupano di prevenzione, cura e riabilitazione delle problematiche legate all’abuso e alla dipendenza da alcol. Qui lavorano medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali e operatori i quali, con programmi terapeutici e interventi di carattere psicosociale, supportano la persona alcoldipendente e le famiglie, anche con gruppi di auto-mutuo-aiuto. Per l’accesso a questi servizi non serve la richiesta del medico di famiglia e le prestazioni non sono soggette a pagamento di ticket. L’elenco completo si trova sul sito: www.salute.gov.it Ecco invece i numeri verdi per chi cerca supporto: Alcolisti Anonimi 800.411.406; S.O.S. Alcolismo 800.178.176

 

Don Mazzi: serve più educazione al bere in famiglia

Il problema, dice il sacerdote fondatore di Exodus, è sempre più diffuso tra i ragazzi e parte dall’esempio che i genitori danno ai figli

 

 

Il fenomeno dell’alcol ha una storia semplice e complicata, familiare, sociale e religiosa. Il vino è nato con l’uomo e sarebbe sufficiente leggere la Bibbia o l’episodio delle nozze di Cana del Vangelo per obbligarci a riflettere e a ragionare con intelligenza e pazienza sul ruolo del vino. Non c’è abitazione, anche la più povera, che non ne abbia nella vetrina o nella cantinetta. Il vino letifica il cuore, rende ancora più unita la famiglia attorno alla tavola.

Perciò fa un po’ ridere – o piangere – leggere, un giorno sì e un giorno no, statistiche sui consumi dell’alcol. L’Osservatorio nazionale presso l’Istituto superiore di sanità riempie pagine di numeri, basandosi sempre su fatti avvenuti e cattive abitudini già radicate. Il problema dell’alcol invece parte dall’infanzia, dalla buona formazione sull’alimentazione, da ciò che ogni creatura deve mangiare e bere per la sua salute e chiarendo bene che ogni tipo di alimento e bevanda ha delle finalità specifiche. Nelle famiglie italiane c’è la totale assenza dell’educazione alimentare, anche perché capricci, dolci, porcherie varie vengono elargite ai bambini piagnucolosi perché “poverini sono bambini”, o perché ci fanno fare una brutta figura. Parte dall’esempio dei padri questo fenomeno difficile da sradicare.

Sulla tavola a cena, e soprattutto sulla tavola fuori cena, l’acqua è necessaria e forse anche qualche bibita, mai l’alcol. Noi italiani, ad esempio, beviamo poco e male. È da questi gesti quasi automatici che si compiono in casa che partono i primi consigli chiari, necessari per l’intera famiglia. Sulla base della nostra esperienza il vino è presente in ogni tipo di dipendenza e, forse, è anche più presente l’alcol.

Nelle ricerche si sottolinea troppo quanto la percentuale delle ragazze sia aumentata nel fenomeno del consumo di alcol. Da educatore ho infinite volte detto che notizie date in questo modo fanno solo male e non c’entrano per niente con l’etica e la serietà dei signori dell’informazione. Se non parliamo di queste cose in casa, senza scomodare luminari e libri con migliaia di statistiche, il fenomeno potrà solo degenerare. Finiamola anche di parlare di minorenni, maggiorenni, coscienza dei gestori. Questo problema richiede obblighi più semplici, più urgenti e costanti da gestire in casa, nei tempi e nei modi giusti. Aggiungo che le compagnie, anche in questo caso, influiscono molto, troppo.

 

Lo psicologo: «Il caro prezzo dello sballo del sabato sera»

I consigli di Luigi Janiri: «Il bere continuativo, anche se moderato, espone a un rischio per le strutture nervose. Peggio è per il cosiddetto binge drinking, cioè il bere eccessivo e concentrato in un breve lasso di tempo, quello del weekend»

 

«I danni sono permanenti. Si può intervenire per compensarli in qualche modo, ma non si tornerà mai più come prima». Il professor Luigi Janiri, direttore di Psichiatria (Uoc) del Gemelli di Roma, mette in guardia dalle conseguenze dell’uso disinvolto di alcol nella fascia adolescenziale e giovanile. «Il bere continuativo, anche se moderato, espone a un rischio per le strutture nervose. Peggio è per il cosiddetto binge drinking, cioè il bere eccessivo e concentrato in un breve lasso di tempo, quello tipico del sabato sera».

A quali danni si va incontro?

«Le tante intossicazioni acute di alcool comportano una aggressione all’integrità della corteccia prefrontale che, nel periodo adolescenziale, è ancora in una fase di crescita e maturazione nervosa. Questo danno si traduce in una maggiore impulsività, in un disturbo delle cosiddette funzioni esecutive, cioè quelle che servono per la pianificazione e la programmazione delle azioni e dei comportamenti, per prendere decisioni, per la regolazione delle emozioni, per basare le motivazioni delle proprie azioni. Sono funzioni molto delicate e complesse che dipendono dall’integrità della corteccia prefrontale. Ed è assolutamente provato che questa viene danneggiata dall’uso di alcool e, in particolare, dall’uso intermittente e acuto di alcolici».

E se si smette di bere?

«Ci può essere un minimo di recupero, ma i danni strutturali restano. In più, la maggiore impulsività apre un po’ le porte per tutte le altre forme di dipendenza, a partire dal tabacco. Viene sregolato il sistema della motivazione, il cosiddetto reward (ricompensa), cioè quello della gratificazione e del piacere. In questo caso c’è un maggiore rischio di sviluppare dipendenze non solo da sostanze, ma anche comportamentali: il gioco d’azzardo patologico, le dipendenze da Internet, dallo shopping, da videogame, quelle sessuali».

C’è il rischio anche di sviluppare psicosi?

«Il bere, da solo, non è in grado di provocare una forma psicotica, se non c’è già una vulnerabilità individuale. È in grado, invece, di slatentizzarle. Nel 50 per cento degli esordi psicotici che possono evolvere in schizofrenia o in disturbo bipolare c’è di mezzo l’uso di sostanze, quasi sempre l’alcol. Per due motivi in particolare. Intanto sono persone che hanno un “bisogno” di alcol come lubrificante sociale: il bere viene utilizzato per gli incontri, per le feste, per le riunioni, in discoteca, per le uscite in generale. I ragazzi hanno sempre di più problemi di socializzazione. In larga misura dipende dalla diffusione di Internet e dalla comunicazione via social che, indubbiamente, toglie molto spazio a quella che dovrebbe essere la comunicazione sociale e interpersonale normale dei ragazzi. Con la crisi delle tradizionali agenzie di socializzazione, il ritrovarsi attorno al bere sta diventando sempre più diffuso».

E l’altra motivazione?

«Lo “sballo”. I ragazzi creano una situazione in cui si disconnettono da tutto ed entrano in una specie di mondo particolare, un mondo-rifugio rispetto a quelle che sono le normali angustie e pesantezze della vita quotidiana».

Pesantezze a questa età?

«Sì, gli adolescenti spesso si sentono inadeguati perché la perfezione è uno degli obiettivi socialmente condivisi e culturalmente più invalsi nella popolazione e nella mentalità delle persone. Bisogna essere sempre perfetti, tesi ad avere i risultati migliori in ogni campo, ma questo è sostitutivo del vuoto di altri tipi di messaggi più di contenuto che, invece, potrebbero essere veicolati. Al posto di questo c’è una pressione – e anche un’ansia dei genitori – sulla performance del tutto negativa perché è una performance vuota».

Cosa fare?

«I genitori dovrebbero essere molto attenti al comportamento dei ragazzi, soprattutto nel fine settimana. Anche perché i postumi delle intossicazioni da alcol si vedono molto bene il giorno dopo. Inoltre stare attenti al tipo di amicizie che i figli frequentano, al gruppo, perché se vediamo che l’uso di alcol è un distintivo, una sorta di marchio sociale, quel gruppo è destinato ad avere un comportamento molto pericoloso. Bisogna fare molta attenzione nel cogliere i segnali precoci di questi comportamenti e intervenire portandoli il prima possibile – già quando la situazione sembra avviata verso un crinale pericoloso – da uno specialista: un medico, uno psichiatra, qualcuno che possa far capire bene di quali rischi stiamo parlando. Questo è fondamentale. Se, invece, c’è già una situazione di abuso conclamato, occorre intervenire subito con trattamenti che vanno dalle terapie farmacologiche alla riabilitazione alla psicoterapia».

 

Le notti folli degli “shottini” dei ragazzi

Adolescenti con carte d’identità truccate per entrare nei locali a sbevazzare, gare a chi tracanna di più. Ecco che cosa abbiamo visto in una notte tra i bar romani


Uno sguardo rapido sul passaporto esibito con il cellulare e si entra senza problemi. A Fregene, in uno dei luoghi più gettonati per le feste dei ragazzi, non possono sapere che Ilaria ha 15 anni. Duemila è il suo anno di nascita sul falso documento confezionato da un coetaneo grazie alla complicità di suo padre. «Mia figlia non beve, va solo a divertirsi», si giustifica lui. «Se non la aiutavo io magari se lo faceva da sola e io non lo avrei neppure saputo», continua, mentre non lo sfiora neppure il dubbio di aver appena insegnato alla sua bambina a commettere, con leggerezza, un reato.

Non chiedono i documenti, invece, in molti pub della capitale. Gli adolescenti si sussurrano i nomi con il passaparola: una vera mappa dei luoghi dove bere senza problemi. «Per quelli invece che vogliono verificare se abbiamo davvero 18 anni ci sono diversi metodi», spiega Marta, che di anni ne deve ancora compiere 17. «C’è quello che usa Ilaria, il suo passaporto con la data manomessa, oppure il documento di una persona davvero maggiorenne al quale sostituisci la tua foto.

Con scanner e telefonini è tutto molto semplice. Sempre che i gestori si accontentino di vedere solo quello che mostri con il cellulare. Oppure, per 40 euro, c’è chi ti procura la carta di identità di un maggiorenne dove appiccichi la tua foto». “Appiccicare” è il termine giusto perché molti ragazzini usano la gomma da masticare per attaccare la fotina in quel documento cartaceo che apre loro le porte delle discoteche, dei pub e di tanto altro…

A LORO SEMBRA UN GIOCO

Una marea di ragazzini è in piedi da entrambi i lati del marciapiede, in una notte di giugno, zona Tuscolana. Qui i documenti non abbiamo visto chiederli a nessuno. Per noi più adulti non si scomodano neanche a dirci di non entrare. Basta un’alzata di sguardo e un riprendere a risistemare i tavoli: disposti lungo tutto il perimetro del locale pronti per i giochi.

Non aprono la porta a vetri che invece si spalanca per questi adolescenti. Arrivano ben dopo le 22.30, l’orario stabilito per quello che chiamano il “bevo tour”, e sono ancora lì alle due di notte quando andiamo via.

Qualcuno parla di esami di maturità, altri di materie da studiare per settembre, altri ancora di vacanze e amici. Si atteggiano a grandi e intanto bevono e bevono in questa serata organizzata, come accade in molte città italiane, dal “Movimento 5 litri”. Una scorsa al sito per vedere che, tra quanti seguono le pagine, sono tanti i minorenni, almeno a stare alle date di nascita postate nei profili.

Durante tutta la serata si va avanti a pistole spruzza drink, beer pong (una sorta di ping pong in cui la pallina deve centrare il bicchiere di birra della squadra avversaria), torneo di flip cup (si deve bere e rovesciare il bicchiere nel minor tempo possibile) e free shot. In pratica si gioca a bere, spesso divisi a squadre, con modalità che fanno apparire tutto leggero… troppo leggero.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.famigliacristiana.it/articolo/allarme-alcol.aspx

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)