338-1938888 o 331-2460501/2/3 o 0172-55294[email protected]

News di Alcologia

Cannabis, dal "tiro" iniziale alla dipendenza: tutti i rischi e le insidie dello spinello

cufrad news alcologia alcol alcolismo cannabis, dal primo "tiro" alla dipendenza: tutti i rischi e le insidie dello spinello


La cannabis in sè e per sè non crea dipendenza. Ma l'atto i fumarsi una canna? Forse non è da sottovalutare

"Mi fa rilassare, distrarre e a volte anche ridere". Queste le parole dei più giovani, e non solo, consumatori di canne. L'abitudine è ormai diffusa ed i giovani rappresentano circa i due terzi dei fumatori di marijuana.


Nasce tutto da un "tiro" in compagnia, giusto per stare bene e non annoiarsi quel sabato sera in cui non si sa cosa fare. "È divertente, sottrae alla realtà circostante, incita pensieri diversi da quelli normali, rilassa. Nuoce meno di una sigaretta e non crea dipendenza". Dinnanzi ad una simile presentazione pochi sono in grado di resistere. Senza contare poi che la maggior parte di coloro a cui è offerta l'occasione di fumare una canna sono fumatori di sigarette ed in cui, quindi, è già presente una dose piuttosto elevata di nicotina. Insieme alla cannabis si è diffusa l'idea che non crei dipendenza, convincendo chi ne fa uso di poter smettere in qualsiasi momento. Rari però sono i casi di coloro che riescono realmente a farne a meno. Ma perché?


L'erba o il fumo utilizzati devono essere accompagnati da tabacco ed essere poi avvolti nella cartina, meno nociva, si crede, rispetto a quella di una sigaretta. È quindi indubbia la presenza di tabacco e, pertanto, di nicotina. Forse però non è solo questa la risposta. La cannabis ha cominciato ad essere particolarmente usata negli anni sessanta, dai i cosiddetti "figli dei fiori". Sono loro l'emblema della differenziazione, gli alternativi. Coloro che sono stati in grado di distinguersi e farsi notare. Essendo trentenni, la moda è stata trasmessa ai loro coetanei o comunque a ragazzi con non meno di vent'anni. La canna è dunque l'oggetto dei "più grandi", di chi è quasi adulto e sa essere indipendente. È con questo inconsapevole istinto che i più giovani cominciano a farne uso: per distinguersi, sentirsi sempre più vicini agli adulti e lontani dai ragazzini. Inoltre è illegale. E cosa c'è di più divertente del trasgredire le regole? Dell'agire alle spalle dei genitori? I genitori, quelli che hanno sempre cercato di porre dei paletti e delle regole tanto noiose. Il gesto del fumarsi la canna fa sentire liberi, senza costrizioni o privazioni. È rilassante e, soprattutto, "fa figo".


La persuasione che non crei una dipendenza fisiologica distrae completamente dal pensare che possa crearne una psicologica. Questo è il punto fondamentale, il rischio. Pochi si rendono realmente conto di quanto sarà difficile smettere, rimanendo nella convinzione che il THC, il principio attivo della marijuana, non crei dipendenza e, soprattutto, non danneggi nulla. È invece stato appurato che l'utilizzo della cannabis agisca direttamente sulla corteccia prefrontale del cervello, da cui dipende la capacità decisionale dell'individuo, la programmazione motoria, la fluidità verbale, l'apprendimento di concetti ed avente un ruolo fondamentale nella sfera emotiva. Quindi non solo a lungo andare, bensì dal primo tiro, la canna andrà a modificare ed alterare molte delle capacità più importanti dell'individuo portando anche ad insonnia ed irritabilità. A queste conclusioni sono giunti i maggiori centri di ricerca mondiali tra cui quello della McGill University Health Centre di Montreal (Canada), guidato da Gabriella Gobbi.


Il 45% dei giovani di età compresa tra i 14 ed i 30 anni fa uso di cannabis ed il 6% di questi addirittura quotidianamente.


Tutti però si sentono esonerati dall'esserne dipendenti e continuano ad asserire di poter smettere in qualsiasi momento, pur non facendolo. Diventa anzi sempre più difficile anche il solo parlarne: si mostrano sempre più riluttanti nei confronti di un cambiamento di idee, autoconvincendosi di essere più forti di tutto ciò ma non facendo altro che allontanare un pensiero di cui essi stessi hanno paura.


Come chiamare tale atteggiamento se non indifferenza? Indifferenza nei confronti della vita, che in questo modo risulta essere null'altro che un'attesa del momento di "relax", un momento in cui si può non pensare a nulla. Un momento che sarà il fulcro di tutto il resto del tempo, ma talmente effimero da volerne ancora e ancora.


Come si può quindi sottovalutare un problema che persiste da tempo e che, in queste condizioni, continuerà ad essere estremamente presente in Italia e nel resto del mondo? Non sarebbe una colpa il non parlare, il non intervenire per aiutare tutti coloro che, incoscientemente, sono e vogliono essere, inconsapevoli dei rischi che corrono? Non sarebbe una colpa l'indifferenza nei confronti di un fenomeno che ha preso piede e che sottrae ai giovani la capacità di diventare un giorno qualcuno in grado di migliorare la realtà in cui viviamo? Io considero l'indifferenza un reato nei confronti degli sforzi che tutti, o quasi, stiamo compiendo per migliorare una società che si sgretola di fronte ai nostri occhi. Un reato nei confronti di ragazzi che, da soli, non sono in grado evitare il rischio e si lasciano coinvolgere da una realtà molto più grande di loro, in cui orientarsi è quasi impossibile e perdersi è più che semplice.


Maria Grazia Pellegrini denaro.it/blog/2013/02/06/la-cannabis-in-se-e-per-se-non-crea-dipendenza-ma-latto-del-fumarsi-una-canna-forse-non-e-da-sottovalutare/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)