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Cannabis e neuroscienze: luci e ombre al congresso americano

Cannabis e neuroscienze: luci e ombre al congresso americano

Cannabis e neuroscienze: luci e ombre al congresso americano

 

A fine marzo si è svolto in America un importante summit patrocinato dal National Institutes of Health (NIH) americano, per fare il punto sugli effetti neurologici e psichiatrici di cannabis, cannabinoidi, e il sistema endocannabinoide in generale. Noi abbiamo avuto la possibilità di seguirlo grazie alla disponibilità del dottor Graziano Pinna, originario di Oristano e docente e ricercatore alla University of Illinois a Chicago. Ve ne avevamo già parlato quando il Dipartimento della Difesa statunitense mise un milione di euro a disposizione del professore per indagare i meccanismi del sistema nervoso centrale grazie ai quali la cannabis è in grado di far vincere l’ansia e la paura.

Gli studi sono condotti nel Dipartimento di psichiatria della University of Illinois a Chicago da un team guidato da Pinna, che avrà la direzione e l’intera supervisione del progetto e che già si è messo in evidenza per diverse scoperte di grande rilevanza nel campo delle neuroscienze, tra le quali quelle sui meccanismi di funzionamento di alcuni farmaci antidepressivi più venduti e usati al mondo, come il Prozac.

Che tipo di congresso è stato?
Bisogna innanzitutto sottolineare che si è trattato di un summit storico sia per il tema in esame (cannabis e cannabinoidi) che per gli organizzatori e il luogo in cui si è svolto, il Natcher Conference Center nel campus NIH di Bethesda, nel Maryland. Trattandosi di cannabis ci sono diversi tabù che sono coinvolti. Questo convegno è stato patrocinato dall’NIH, struttura che si occupa di ricerca e di distribuire finanziamenti per la ricerca che vengono elargiti dal governo americano. Ed è stato sponsorizzato da 5 istituti che fanno parte del NIH tra i quali il NIDA (National Institute of Drug Abuse) la cui direttrice, la dottoressa Nora Volkow, ha parlato in apertura e chiusura del congresso. Il fine di questo vertice era quello di presentare i progressi ottenuti dalla ricerca di base e osservazioni importanti “evidence-based” sull’utilizzo clinico dei cannabionidi. E quindi c’è stata sia questa parte scientifica che quella di informare la politica sui rischi e benefici della possibile liberalizzazione della cannabis. Particolarmente importante in questo momento dato gli Stati Uniti si stanno rapidamente cambiando rotta con ormai 24 stati in favore dell’uso ricreativo e medicinale della marijuana. In questo senso la direzione è stata un po’ particolare forse proprio per la presenza del NIDA che ha come obiettivo quello di sponsorizzare studi che portino alla luce i lati negativi dovuti all’abuso della cannabis, più che mettere in rilievo gli effetti benefici terapeutici per diverse patologie, per cui tutto il summit è stato improntato per mettere in rilievo molti degli effetti negativi, forse il 60% è stato basato su questo piuttosto che sugli effetti terapeutici. E questo è stato visto come un limite al summit stesso e anche come un ostruzionismo da parte della politica di Washington e del NIH.

Cosa è mancato?
Sicuramente una testimonianza diretta di medici e pazienti provenienti dagli Stati in cui attualmente la cannabis è legale a livello terapeutico che sarebbe stata importante per tutti.

Per quanto riguarda gli studi presentati?
Si è iniziato con studi su patologie come sclerosi multipla ed epilessia, tra le cose che mi hanno interessato di più, oltre a quelle legate al mio campo su ansia e disturbo da stress post traumatico (PTSD).
Sull’epilessia c’è stata una presentazione che ha messo in luce l’effetto del CBD in uno studio clinico pediatrico in bambini che non rispondevano ad altri trattamenti ed è stato evidenziato come il trattamento sia risultato efficace almeno nel 40% dei pazienti. Il farmaco si è dimostrato efficace anche per la sindrome di Dravet, una forma di epilessia molto grave. Ed il fatto che il CBD funzioni dove gli altri farmaci hanno fallito è molto interessante oltreché importante.

Poi di cosa si è parlato?
E’ stato molto interessante un panel sull’utilizzo della cannabis nel trattamento del dolore cronico che mi ha impressionato abbastanza perché il trattamento di queste patologie oggi viene in larga parte eseguito con la prescrizione di oppioidi ed è una pratica associata ad un alto rischio di morte per overdose. Le prescrizioni degli oppioidi sono in continuo aumento negli Stati Uniti, come è in continuo aumento il numero di morti per overdose. Negli Stati in cui è stata legalizzata la cannabis è stata riscontrata una diminuzione del 25/30% del tasso di morte per overdose dovuto agli oppioidi. La cannabis in America è classificata dalla DEA in Tabella I, cioè tra le droghe più pericolose, gli oppiodi sono invece molto più facili sia da prescrivere che per essere utilizzati in studi scientifici. Se in America si vuole fare uno studio scientifico sulla cannabis si incontrano molti più ostacoli rispetto a qualsiasi altro farmaco. Bisogna anche tener presente che la cannabis è una sostanza che non causa overdose mentre negli Stati Uniti vengono prescritte più di 250 milioni ricette all’anno per oppioidi per dolori cronici e solo nel 2014 ci sono state circa 28mila overdose; un centinaio di persone muoiono ogni giorno per overdose dovuto ad oppioidi. E stanno anche uscendo i primi studi che dimostrano come i cannabinoidi possano mitigare gli effetti negativi degli oppioidi.

(...omissis...)

Mario Catania

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.cannabisterapeutica.info/2016/04/15/cannabis-e-neuroscienze-luci-e-ombre-al-congresso-americano/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)