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USA: multinazionali del tabacco condannate a finanziare spot anti-fumo

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Le big del tabacco condannate a spot anti-fumo
di Claudio Tamburrino


Boccone amaro per le multinazionali del tabacco. Negli Stati Uniti sono state condannate a finanziare una campagna pubblicitaria che informi il pubblico sul fatto che fino ad oggi hanno mentito sui reali danni provocati dalle sigarette per la salute dei consumatori.


Tutto nasce dalla conclusione di un caso aperto nel 1999 sotto il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (Rico) Act, legge federale pensata per combattere il crimine organizzato, nel corso del quale il giudice della corte distrettuale Gladys Kessler avrebbe fatto risalire fino al 1964 le informazioni ingannevoli diffuse dai produttori di sigarette. Secondo quanto si legge nella sentenza da oggi e per i prossimi due anni le major del tabacco dovranno spendere i loro soldi per diverse campagne su vari media in modo tale da cercare di bilanciare la disinformazione finora fatta.


In generale, sembra che i messaggi da diffondere (definiti "dichiarazioni correttive") debbano essere introdotti dalla frase: "Una corte federale ha stabilito che le compagnie del tabacco coinvolte nella causa abbiano ingannato il pubblico americano vendendo e pubblicizzando le sigarette leggere come a basso contenuto di catrame e meno dannose di quelle normali". E che debbano contenere frasi minacciose sul genere di quelle già viste sui pacchetti di sigarette come "Il fumo uccide, in media, 1.200 americani. Al giorno" oppure "uccide più degli omicidi, dell'AIDS, dei suicidi, della droga, degli incidenti stradali e dell'alcol messi insieme". La cosa importante, secondo gli avvocati delle associazioni anti-fumo è che tali dichiarazioni siano "chiare, precise, facili da capire, e non in gergo scientifico". In modo tale da "ripagare per le conseguenze devastanti", contrapponendo fatti chiari alle bugie dette finora.
In ogni caso, non considerando la possibilità di far ricorso contro la sentenza, le cifre precise da spendere e i media da utilizzare e i messaggi precisi da diffondere sono dettagli ancora tutti da definire e destinati inevitabilmente a dar vita ad un altro lungo, duro ed estenuante procedimento legale: i produttori di tabacco sembrano particolarmente combattivi sull'uso del termine "ingannare".
D'altra parte, solo negli ultimi due anni le più grandi compagnie delle sigarette sono arrivate a spendere oltre 10 miliardi di dollari in pubblicità e promozione dei loro prodotti, a dimostrazione delle risorse a loro disposizione e della potenza di fuoco delle loro armi pubblicitarie.


Proprio per questo in altre parti del mondo si sta cercando di limitare il vizio del fumo intervenendo direttamente su questo fattore, cercando di limitare il potere del marchio legato ai singoli pacchetti. Così in Canada le sigarette sono nascoste alla vista dietro ad un bancone, non visibili dai consumatori che possono chiederle solo ad un commesso. Mentre in Australia si sta cercando di adottare una legge in base alla quale per i pacchetti di sigarette ci si debba affidare ad un colore (un marroncino studiato come poco attrattivo) ed una scritta con il nome del marchio in un carattere anonimo uguali per tutti.
Secondo le intenzioni, tale misura dovrebbe disinnescare il meccanismo che, proprio tramite la pubblicità ed il potere del marchio, porterebbe nuovi consumatori (in primis giovani) a fumare. Tuttavia i paesi produttori di sigarette hanno già presentato le proprie rimostraste presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio rilevando in una tale normativa un'ingiustificata limitazione della proprietà intellettuale dei produttore ed il caso è attualmente aperto in attesa di una decisione.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)