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The Journal of Neuroscience: eroina e apprendimento associativo

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Eroina, alla base della dipendenza un meccanismo cerebrale legato alla memoria

La formazione di nuovi ricordi comporta il passaggio da nuove e labili tracce di memoria, a forme mnestiche più consolidate e stabili. Anche sul piano molecolare questi due stadi consecutivi “utilizzano” aree cerebrali distinte: inizialmente i ricordi vengono elaborati nei nuclei basolaterali dell’amigdala, successivamente il loro consolidamento avviene nelle aree della corteccia prefrontale mediale. L’eroina e gli oppiacei in generale, fondano sulla loro caratteristica di indurre sensazioni molto piacevoli, la capacità di formare ricordi molto potenti, provocando una veloce dipendenza.

 

L’instaurarsi di questa forma di apprendimento associativo molto forte, comporta inoltre negli eroinomani in astinenza, una poderosa attivazione del desiderio (craving) per la sostanza, ogni qualvolta si vengono a trovare in presenza di stimoli legati alla droga, con conseguenti frequenti ricadute. Attraverso un modello animale i ricercatori della Western University in Canada hanno indagato i meccanismi molecolari attraverso cui s’instaura e viene consolidato questo potente apprendimento associativo negli utilizzatori di oppiacei. In questo studio, apparso sull’ultimo numero del Journal of Neuroscience, i ricercatori hanno scoperto che il processo di dipendenza da eroina attiva un “interruttore” tra due distinte formazioni molecolari dell’amigdala, area in cui viene controllata la formazione di nuovi ricordi. Quando il cervello non è ancora dipendente, l’apprendimento associativo avviene grazie ad una molecola di segnalazione extracellulare chiamata “ERK”. Nel momento invece in cui la dipendenza ha fatto il suo corso, gli scienziati hanno osservato una commutazione funzionale che porta ad utilizzare una via molecolare separata, controllata da un’altra molecola chiamata "CaMKII".
Secondo gli autori, la scoperta di questo meccanismo attraverso cui gli oppiacei alterano significativamente il funzionamento del cervello, potrebbe essere utile per sviluppare nuovi trattamenti, capaci di “allentare” la ricerca compulsiva di droga nei soggetti dipendenti.


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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)