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Cyberbullismo: riconoscere il fenomeno è il primo passo per prevenirlo

Cyberbullismo: riconoscere il fenomeno è il primo passo per prevenirlo

 

Cyberbullismo, per contrastarlo occorre conoscerlo. Noi adulti non facciamoci sostituire dagli automi

Tiziana, Carolina, Amanda, Phoebe,..sono solo alcune delle ragazze che si sono tolte la vita a seguito della gogna mediatica innescata dalla diffusione di loro immagini intime sul web. Alcune hanno involontariamente innescato il meccanismo, altre ci si sono trovate, tutte sono fuggite dalla vergogna per lesposizione incontrollata della propria intimità.

Le loro storie riportano in primo piano il problema della privacy nella rete. Come gestirla? Come proteggersi dalla diffusione virale dell’intimità? Come proteggere i nostri figli/figlie da esposizioni incontrollate?

Sicuramente serve innanzitutto sapere di cosa stiamo parlando, conoscere per primi la rete e le sue insidie, per poter guidare i ragazzi nel mondo virtuale così come facciamo nel mondo reale.

Il Garante per la privacy ha pubblicato la guida, “Social privacy. Come tutelarsi nell’era dei social network” per la protezione dei dati personali proprio per fornire agli adolescenti, ai genitori e agli adulti in generale, strumenti utili a non cadere nella trappole della rete, per utilizzarla in maniera più sicura e consapevole.

Ma perché gli adolescenti hanno bisogno di condividere le proprie immagini e/o quelle degli altri? Con l’obiettivo di aiutarli a regolare l’esposizione proviamo a capirne il significato.

Il fatto che si tratti per la maggior parte di adolescenti non è casuale, è un momento evolutivo in cui il tema dell’esposizione è molto presente: desiderata e temuta nello stesso tempo. Desiderata perché porsi al centro dell’attenzione degli altri significa essere e sentirsi visti, riconosciuti, considerati e confermati, temuta perché c’è sempre il rischio di una centralità negativa, di essere giudicati male, tenendo presente comunque che anche un giudizio negativo è pur sempre un riconoscimento e preferibile all’invisibilità.

Uno degli aspetti che creano il successo dei social che comunicano per immagini, è sicuramente legato al rapporto che gli adolescenti hanno con il proprio corpo, un corpo che cambia.

 

La perdita del corpo infantile a seguito dello sviluppo puberale ha ripercussioni importanti sul piano dell’identità personale dell’adolescente soprattutto se il corpo ne rappresenta uno degli elementi principali, se cioè si hanno pochi altri elementi per mantenere un senso di continuità nel passaggio dall’infanzia all’età adulta.

Il corpo che cambia rapidamente concentra l’attenzione dell’adolescente che passa molto tempo davanti allo specchio e si confronta continuamente con gli altri: nessuno è mai soddisfatto del proprio corpo. Ne deriva un senso di estraneità e di inadeguatezza, una grande sensibilità al giudizio degli altri, soprattutto a quello dei coetanei, e il bisogno di avere continue conferme esterne dell’accettabilità del nuovo corpo anche dopo il cambiamento.

L’insicurezza che per alcuni diventa ricerca di conferma nell’esposizione, può risultare insopportabile per altri che magari non riescono ad accedere a quelle conferme e ripiegano nascondendosi dietro il gruppo, prendendo di mira qualcuno, facendosi forza sulla debolezza degli altri, scagliandosi contro qualcuno per darsi un senso di consistenza. Che le cose avvengano nel web o nella vita reale non fa differenza: le vittime arrivano a sentirsi sole e isolate, senza porti sicuri in cui rifugiarsi, i carnefici si beano della forza effimera che si può ricavare da queste forme di aggressività.

Non è detto che ci sia una divisione netta tra persecutori e perseguitati.

E dove sono gli adulti? Spesso gli adulti di riferimento sono latitanti, magari impegnati in altre emergenze, o anche loro inconsistenti.

 

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/01/cyberbullismo-per-contrastarlo-occorre-conoscerlo-noi-adulti-non-facciamoci-sostituire-dagli-automi/3067077/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)