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GAP: uno sguardo alle donne che giocano d'azzardo

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UNO SGUARDO ALLE DONNE CHE GIOCANO D'AZZARDO

In un articolo pubblicato sulla rivista Dal Fare al Dire, vengono presentati i risultati di una ricerca realizzata dall'Ambulatorio per il

Gioco d'Azzardo Patologico (GAP) del Dipartimento Dipendenze 1 dell'ASL - TO sul fenomeno del gioco d'azzardo tra le donne.
La ricerca ha preso in esame: gli indicatori socio-amagrafici e anamnestico familiari, la modalità di contatto con il servizio, le

caratteristiche del comportamento di gioco, gli eventi premortosi (eventi scatenanti il comportamento patologico ed assunzione di terapia

psicofarmacologica), e, infine, problemi associati (disturbi del sonno, dell'alimentazione e situazione debitoria).
Dai risultati della ricerca è emerso che rispetto alla condizione lavorativa, il 57% delle giocatrici ha un'occupazione, e il 23% è in

pensione, quindi risulta che l'80% possiede un'autonomia economica propria. Le casalinghe (10%) e le disoccupate (10%) riferiscono invece di utilizzare le risorse economiche familiari o di impegnare gli averi di casa (oro, oggetti di valore) per finanziare le attività di gioco. Sono in prevalenza donne "mature" ad essere più coinvolte nella patologia, per molte donne il gioco rappresenta un meccanismo di fuga dalle eccessive richieste e responsabilità di accadimento nei confronti della famiglia, oltre che una possibilità di gratificazione, di sospensione e di cambiamento per sottrarsi ad anni di dedizione agli altri.
Il 38% del campione ha nella propria famiglia un membro giocatore o alcolista, mentre non è presente alcuna familiarità nel 62% dei casi.
Un dato interessante è quello relativo alla richiesta di aiuto: nel 43% del campione l'invio avviene da parte dei servizi Socio-Assistenziali, di Enti di Volontariato, del Centro di Salute Mentale dell'ASL o del Medico di base.
Relativamente al gioco prevalente, le pazienti riferiscono di sentirsi maggiormente attratte dalle slot machines (50%),l'altra metà del campione è suddiviso tra Gratta e Vinci (23%), Lotto e Superenalotto (14%) Bingo (7%), Casinò (3%). Relativamente alla modalità di gioco, le donne riferiscono di giocare prevalentemente in solitudine e in luoghi distanti dall'abitazione o dal lavoro.
Nel 50% del campione l'età di esordio della dipendenza patologica si colloca tra i 40 e i 59 anni.
Per le pazienti la perdita degli affetti riveste un ruolo centrale rispetto agli eventi scatenanti la dipendenza da gioco: separazioni e divorzi (35%), lutti (30%), il gioco sembra offrire rifugio e consolazione.
Un dato significativo è rappresentato dal fatto che il 60% del campione assume una terapia psicofarmacologica antidepressiva e/o ansiolitica.
In generale, è possibile affermare, che nel tentativo, di conciliare i ruoli della vita familiare e lavorativa, le donne sono sottoposte ad una grande fatica fisica e psicologica, si sentono pervase dal senso di inadeguatezza e di colpa, oltre ad essere spesso sottoposte a ricatti morali da parte del partner e dei figli.

Dalla lettura generale dei dati raccolti dalla ricerca è possibile definire il profilo delle donne giocatrici emerso dallo studio. Si tratta di donne in età matura: 50-59 anni, coniugate, con un livello di ifstruzione medio e un'autonomia economica. Giungono in Ambulatorio su invio specifico di altri servizi e si presentano al primo colloquio da sole. Sviluppano la dipendenza patologica tra i 40-49 anni, prevalentemente in seguito ad una separazione/divorzio. Presentano disturbi somatici legati allo stress da gioco patologico

 


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)