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Ansia da separazione e dipendenza affettiva

Ansia da separazione e dipendenza affettiva

 

Ansia da separazione e dipendenza affettiva

 

 

La “separazione” è una naturale funzione umana che consente il formarsi della propria Identità distinta dall’altro, IO e TU. Ciò garantisce la possibilità, per ognuno di noi, di direzionarsi nella vita per autodeterminarsi e di sviluppare un NOI rigenerante.

 

Essere accompagnati in questo processo formativo dell’identità è necessario per gestire la naturale e automatica ansia da separazione che il bambino esperisce fin dal sesto mese di vita. E’ proprio durante il periodo di attaccamento dove il bambino chiede cura e sicurezza che questo processo di separazione deve essere accompagnato con sensibilità.

 

Quando questo processo di separazione viene ignorato o avviene in varie forme: traumatiche, svilenti, giudicanti, ridicolizzando ecc…si sviluppa un’eccesso d’ANSIA da SEPARAZIONE che potrà prendere la forma di attacco d’ansia, attacco di panico, alterazione del sentire con conseguenti psicopatologiche, disturbo d’ansia generalizzata, fobie

 

Incide sulla autostima e quindi sulla possibilità di meritarsi di essere amati e di portare le persone nell’intimità. I meccanismi di difesa relazionali dunque diventano le dipendenze affettive

 

IN SINTESI

 

Soffrire d’ansia, fobie, alterazione del sentire e attacchi di panico vuol dire soffrire di un disturbo dell’emotività relativo a dinamiche psicologiche di separazione, evoluzione e maturazione personale.

 

 

 

Chiunque abbia ansia o panico sa quanto siano importanti per lui le persone con le quali ha organizzato la sua vita affettiva.

 

Spesso la prima crisi d’ansia o di panico si era associata a un periodo di conflitti con un genitore, o alla morte di uno di essi o a quella di un nonno o di un altro caro. Altre volte la crisi è esplosa in momenti di intenso sforzo personale per acquisire una necessaria indipendenza, o dare alla propria vita una particolare direzione. Altre volte ancora è coincisa con un momento di crisi, più o meno grave, nella relazione con un coniuge o con un compagno o un fidanzato.

 

Il punto della questione è che dinamiche emotive legate a un conflitto mettono alla prova, portandola fino allo stress, la capacità individuale di reggere a distacchi, separazioni, conflitti, indipendenze, nuove forme affettive di legame, nuovi sviluppi della vita che devono talvolta sostituire i vecchi schemi.

 

Ma a questa necessaria evoluzione fanno riscontro angosce di perdita, di abbandono, di colpa e di vergogna.

 

Il disturbo d’ansia è sempre caratterizzato dal timore, più o meno manifesto, di perdere l’affetto o la stima di persone importanti. La paura della perdita del legame (la paura dell’abbandono) è il sottofondo tematico costante.

 

Dal bambino che ha paura di fare brutta figura a scuola e di perdere la stima degli insegnanti e l’affetto dei genitori (e che per questo motivo sviluppa angosce di prestazione, disturbi dell’emotività e fobie sociali), fino all’uomo che manifesta ansie paranoidi perché ha paura di perdere il legame affettivo con la moglie o il legame sociale col datore di lavoro o col superiore gerarchico, la patologia tocca costantemente lo stesso tema. Il soggetto teme che un suo modo di essere inadeguato o riprovevole gli alieni la protezione offertagli dai legami sociali, soprattutto se importanti e connotati di affetti di forte intensità…

 

Insomma, chi soffre d’ansia ha paura di perdere (per colpa o inadeguatezza proprie) figure e affetti importanti. Sicché, ogni possibile conflitto, anche inconscio, e ogni possibile emancipazione o separazione, vengono “prevenuti” da un attacco d’ansia, che “rimette le cose a posto”, perché fa regredire l’individuo in crisi al livello della paura, della rassegnazione e della dipendenza.

 

In breve diviene necessario per il soggetto ansioso dotarsi di un rapporto inscindibile, che dia garanzie di affidabilità a fini di tutela personale.

 

Colui che soffre di ansia e panico è una persona che non ha ancora sviluppato una adeguata capacità di distanza dalle persone di cui ha bisogno per sentirsi “a posto”. Queste persone sono talvolta i genitori, talaltra i figli o il coniuge, talaltra ancora autorità importanti per la propria vita.

 

Spesso si tratta del partner sentimentale, con il quale s’intrecciano legami oscillanti fra la dipendenza affettiva, la co-dipendenza (un gioco complesso necessità reciproca) e il rischio di cedere al panico.

 

I sintomi correlati alla dipendenza affettiva sono numerosi e complessi. In sintesi questi che elenco qui di seguito sono i più consueti (l’ordine in cui li enumero segue una logica di progressiva “gravità”):

 

Paura di essere inadeguati a meritare o mantenere un importante legame affettivo.

Senso generale di disistima in se stessi e particolarmente per ciò che riguarda la propria amabilità umana e/o intelligenza o attrattiva sentimentale e sessuale.

Idealizzazione della persona amata la cui sola vicinanza è in grado di fornire benessere al dipendente innamorato.

Elargizione d’amore a senso unico, fino al limite del collasso psicofisico da stress.

Sottomissione caratteriale e tolleranza verso gli aspetti “negativi” della persona amata.

Dolore angoscioso o depressivo ad ogni separazione o possibile abbandono.

Tendenza ad assumersi le colpe nelle crisi di rapporto.

Ansia e attacchi di panico relativi a dubbi, conflitti o crisi inerenti il rapporto di dipendenza.

Bisogno di controllare la persona amata in ogni suo momento e in ogni suo movimento, così come anche in ogni suo pensiero.

Gelosia morbosa, ossessiva.

Riduzione progressiva dei contatti affettivi e sociali a favore del rapporto di dipendenza.

Rabbia e disperazione all’idea che il partner possa “godersi la vita” senza l’innamorato.

Compulsione a seguire e talvolta minacciare e perseguitare la persona amata che sfugge al controllo sentimentale.

 

Naturalmente, questi sintomi non sono tutti presenti in modo simultaneo. Lo sono in modo discontinuo, e secondo la struttura personalità di ciascuno. A questa dinamica generale va aggiunta quella per la quale chi soffre di panico quasi sempre sceglie una persona affidabile cui fare sempre riferimento.

 

Non esiste una persona affetta da attacchi di panico che, non abbia sviluppato, una dipendenza affettiva. La dipendenza affettiva è il correlato sistematico, più o meno visibile, ma sempre presente, delle patologie da ansia patologica.

 

A maggior ragione, allorché il DAP esita in una cronicità, diventa cioè stabile, si evidenzia la presenza costante di almeno una persona da cui il soggetto ammalato deve dipendere per essere tranquillizzato a livello psicologico e/o gestito a livello fisico…

 

Questo tipo di dipendenza è, a sua volta, una patologia, che si aggiunge a quella già radicata del panico, sicché è impossibile curare il disturbo da attacchi di panico senza prendere in esame anche le relazioni di dipendenza affettiva che la persona ha organizzato per gestire i propri sintomi.

 

 

 

La vendetta

 

 

 

Nella dipendenza affettiva non è tollerata quindi la separazione, non è accettato che il partner possa godere della propria vita se non in sintonia di coppia. Se questo succede si prova un senso di tradimento che spinge a volersi vendicare perché non “si rispetta la persona facilitandogli il cambi aneto ma la si possiede per confermare noi stessi”.

 

La vendetta è un desiderio di farsi giustizia generato da un impulso volitivo che segue al rancore o al risentimento. Nella mente del soggetto che intende vendicarsi esso ha subito un torto (sia esso reale o presunto) e vuole (o ha bisogno) di “pareggiare i conti” con colui che è stato causa della sua sofferenza o fastidio.

 

Questo processo mette in discussione tutto una identità di sé ossia “essere vendicativi”, “provare desiderio di vendetta” porta a sensi di colpa, vergogna, sentirsi cattivi, persone orribili e si riattiva il dolore dell’abbandono e della privazione. Ecco perché vendicarsi non porta (quasi sempre) ad un vero appagamento.

 

Esempi di pensieri vendicativi lievi

 

Vendicarsi mentalmente di un torto subito, immaginare la punizione più adatta per qualcuno che ha fatto del male a noi o a un nostro caro. Sono fantasie a cui il cervello di ognuno può attingere in alcuni momenti come manifestazione naturale e innocua di una forte rabbia repressa, di una contrarietà molto intensa. Fantasie come opzioni di sfogo, “azioni mentali” in piena libertà creativa che scaricano l’aggressività senza far del male a nessuno e, al contempo, mantengono l’equilibrio psichico energetico. Finché sono sporadiche e transitorie, accettarle e osservarle può esserci pure utile: rivelano qualcosa della nostra “parte Ombra”, ovvero qualcosa in più su noi stessi. Per molti, già il solo immaginare una vendetta è sufficiente ad “archiviare il caso”, e talora in questa strana creazione può esserci pure un lato buffo e ironico che scioglie la tensione e fa tornare la serenità.

 

Il primo comportamento normalmente è fare i “sostenuti” e avere pensieri di “rabbia e di ribellione”:

 

1.“ora non la considero più voglio vedere se si rende conto di quanto valgo, di quello che faccio per lui!!!” (l’altro chiama al telefono e il vendicativo non risponde o risponde senza empatia)

 

2. “non faccio più nullo per lui…..non gli stiro le camice, non gli faccio cena, ci pensi lui ai suoi figli, voglio proprio vedere come se la cava senza di me!!!!”

 

3. “adesso chiamo la moglie e gli dico che suo marito ha una storia con me da due anni”

 

4. “adesso lo sputtano sul lavoro, tutti credono che sia bravo, non sanno che razza di porco sia”

 

5. sono cattiva a pensare questo ma lo chiamo e gli dico che mi sono fatta male voglio vedere come reagisce

 

6. quell’ingrato di mio figlio!! finchè gli facevo comodo veniva a pranzo e cena ora che si è fidanzato non mi considera più.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://www.associazioneindacopisa.it/ansia-da-separazione-e-dipendenza-affettiva/

 


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)