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Crisi economica e abuso di psicofarmaci: quale relazione?

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Crisi economica: l’abuso di psicofarmaci diventa fenomeno culturale
Massimilla Manetti Ricci


Il paese reale è allo sbando, i cittadini sono cittadini di uno stato fantasma e lo scollamento tra Stato e Popolo sta estendendosi ad una frattura tra il cittadino e il suo io.

Depressione, disperazione, sconvolgimenti emotivi caratterizzano le cronache nere di questi giorni, e di molti passati.

Un pessimismo diffuso aleggia nella gente incline a vedere un bicchiere ormai vuoto, ma è soprattutto quella sensazione di impotenza e di difficoltà a trovare vie d'uscita che mina la capacità di reagire.


Come se ne viene fuori?

A livello politico dobbiamo ancora vederlo, ma a livello individuale lo si fa bypassando le crisi personali nella scorciatoia degli psicofarmaci.

I quali la fanno da padrone in questo angolo di millennio e diventano un riferimento sociale ed economico.

Già alcune categorie di farmaci hanno segnato epoche, come la scoperta della pillola che ha rivoluzionato valori e comportamenti, o il Viagra, che è diventato anche moneta di scambio nelle guerre afghane ed oggi tocca ad un'altra classe, agli psicofarmaci, segnare il passo della crisi dell'economia globale che si ripercuote su una crisi di identità, di sicurezza e di fiducia in se stessi da parte della popolazione.

Sono come un cuscinetto provvisorio che sospende il disagio emotivo in un limbo illusorio e momentaneo.


«Si fa un uso più disinvolto degli psicofarmaci, prescritti a volte, con troppa facilità, specie dai medici di base, che affrontano difficoltà psicoemotive non marcatamente patologiche, ma più legate agli stress della vita quotidiana. D'altra parte i pazienti chiedono il farmaco nella speranza di risolvere problemi e disagi complessi “con l'acceleratore” e nell'ottica di potenziare le proprie prestazioni come nella cultura del doping».

Così afferma Davide Galesi, ricercatore presso la facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Trento, dove insegna Sociologia della Salute e Metodi e tecniche di ricerca per il servizio sociale, che ha condotto un'indagine, relativa al 2010, su 3741 soggetti, selezionati tra coloro che si sono recati in farmacia per acquistare uno psicofarmaco.


Il 63,1% degli intervistati ha comprato ansiolitici, il 33,5% antidepressivi, il 18,4% ipnotici (favorenti il sonno), il 7,8% antipsicotici.

Quasi un quarto degli intervistati (23,9%) consuma più di uno psicofarmaco.

Nel 2010 sono stati spesi 535,2 mln di euro per questi farmaci, pari a oltre il 17% della spesa farmaceutica complessiva.


«In realtà non c'è tutta questa necessità di psicofarmaci», continua Galesi, «Non c'é un'epidemia reale di malattie mentali, ma un sempre più pervasivo processo di medicalizzazione del malessere, che porta a un eccesso di diagnosi e prescrizioni inappropriate».

Del resto che lo psicofarmaco faccia tendenza e cultura ce lo racconta bene un testo uscito in USA recentemente e che sta spopolando tra le scuole di business, 'Prozac Leadership'.

Inibitore della ricaptazione della serotonina, la fama dello psicofarmaco è cresciuta rapidamente, guadagnandosi l'appellativo di pillola della felicità, facendo proprio quel principio della Costituzione Americana che recita il 'diritto per ognuno a conseguirla (pursuit of happiness)'.

Sì, infatti l'autore del libro, David Collinson, insegnante alla Lancaster University Management School, paragona la cultura dell'ottimismo americano che tutto ammanta alla felicità artificiale prodotta dal Prozac.

Quella cultura che "premiando l'ottimismo e scoraggiando il pessimismo ha indebolito la capacità di pensare criticamente".


Artificiale, finta, deforme è la realtà offerta dagli psicofarmaci, laddove si preferisca chiudersi in un isolamento dove le emozioni, positive e negative, si attutiscano.

Anche Darrin McMahon, in 'Storia della felicità' spiega come "i medicinali psicotropi usati per avere una vita migliore, sono diventati come i prodotti cosmetici o per capelli, una forma di brain styling, styling del cervello."

La tedenza ad anestetizzare la sfera emotiva, ma anche la ricerca di sensazioni che mascherino la vera realtà fanno innalzare il livello dell'asta della felicità.

Ma in questa spasmodica ricerca, il rischio è di somigliare più a Don Chisciotte, che "impara alla fine del viaggio che il cammino è meglio dell'arrivo". conclude McMahon.

 


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)