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La comunicazione nella relazione di aiuto

La comunicazione nella relazione di aiuto

 

LA COMUNICAZIONE NELLA RELAZIONE D’AIUTO

 

1.Importanza della comunicazione

Da sempre l'uomo ha innato il bisogno di porsi in relazione con gli altri per scambiare idee, informazioni, emozioni o per mantenere rapporti con l'ambiente familiare, professionale e sociale.

Questa esigenza si è accresciuta nella nostra epoca nella quale anche la comunicazione tra persone, nei tradizionali ambiti di vita comune, ad esempio la famiglia, sembra diminuire. Si sprecano molte parole ma il dialogo è scarso, e quindi nascono continuamente nuove forme comunicative (gruppi di auto-aiuto, ricorso a psicologi, lettere ai giornali, partecipazione a programmi televisivi, anche demenziali, trattando argomenti strettamente personali...).

Comunicare è indispensabile anche nel tempo della sofferenza di fronte ad un’impostazione sanitaria spesso erede del positivismo che ritiene primari gli aspetti organici della malattia trascurando quelli relazionali ed emozionali.

La comunicazione, inoltre, riveste per il sofferente il ruolo di drenaggio emotivo attenuando l'aggressività, l’isolamento, la depressione e la passività.

 

La comunicazione si manifesta mediante due sistemi espressivi:

-il “modello interattivo logico”, vale a dire la “comunicazione verbale” che si rende concreta prevalentemente con la parola;

-il “modello interattivo analogico”, cioè il non verbale che si manifesta mediante movimenti, gesti e simboli.

E’ quindi importante correggere il concetto diffuso che la comunicazione sia costituita unicamente, o in massima parte, dalla parola, poichè un'adeguata attenzione merita anche il canale “analogico”, in alcuni casi più importante di quello “logico”. Infatti, mentre può esserci una comunicazione unicamente su base “analogica”, è impossibile quella "verbale" priva di un qualsiasi riferimento al "non verbale".

Inoltre, la comunicazione analogica, se attentamente osservata, rivela la totale o non totale congruenza, veridicità e sincerità dell’interlocutore.

 

1.1.FUNZIONE LOGICA

La funzione logica, o comunicazione verbale, ha come centro la parola: il bambino apprende facilmente a parlare; la vita di ogni uomo è intessuta di parole che l'accompagnano come il respiro.

Notiamo, inoltre, una sfrenata corsa alle parole per propagandare la propria idea.

Eppure, il colloquio, è sempre una sfida. Possiamo pronunciare parole giuste o sbagliate, quelle che aprono delle ferite o quelle che aiutano a guarire, quelle che costruiscono o quelle che distruggono, che creano unione o che aprono divisioni, quelle che infondono timore o quelle che emanano la pace; parole di vita o di morte.

Nella comunicazione quotidiana con la parola trasferiamo notizie, ricordiamo degli eventi, scambiamo delle opinioni e dei pareri.

Nella comunicazione con il sofferente dobbiamo andare oltre per giungere allo “scambio di sentimenti” poiché, solamente a questo livello, comprendiamo come il bisognoso d'aiuto sta affrontando il suo dolore.

I sentimenti ci fanno comprendere i valori, costituiscono il fondo vitale dell'uomo e manifestano il significato che un evento assume per la persona.

Questo è il grado più profondo e più intimo raggiungibile dalla parola e riveste una “valenza terapeutica”, soprattutto oggi, di fronte a procedimenti diagnostici e terapeutici che hanno alleviato unicamente il dolore fisico.

 

1.2.FUNZIONE ANALOGICA

La funzione analogica della comunicazione riguarda il “non verbale” e il simbolismo comunicativo. E’ meno conosciuta ma è alquanto importante nel processo comunicativo.

Il più delle volte riteniamo che la condivisione di un messaggio si origini unicamente da una persuadente comunicazione logica: parole e argomenti convincenti, dimenticando che anche l'inconscio, i sentimenti e le emozioni, comunicano con modalità proprie.

L'importanza della funzione analogica si basa sul fatto che a volte gli aspetti comportamentali sono istintivi più che logici e l'atteggiamento spesso precede la motivazione logica.

Si pensi, ad esempio, agli atteggiamenti che inconsapevolmente assumiamo nei confronti di un “oratore noioso” anche se ci applichiamo per mantenerci impassibili.

Nella comunicazione, la parte analogica, mostra la contraddizione tra i sentimenti, gli istinti e il razionale. Rivela, inoltre, la congruenza o meno con quello che la parola afferma e, di conseguenza, l'autenticità del messaggio comunicato che coinvolge, emotivamente e ansiogenamente l'interlocutore nei confronti del contenuto. Dunque, quando la parola maschera o inganna, il corpo fornisce indici di verità.

Solamente ponendo attenzione a tutto quello che I'interlocutore utiIizza, volutamente o no, eviteremo nella comunicazione con il sofferente, l'omertà, la congiura della menzogna o il cosiddetto “gioco della maschera”.

Chi lo pratica, come in teatro, indossa la maschera per condurre un dialogo fittizio che non corrisponde al suo pensiero o per impersonare un ruolo diverso da quello che egli è. E anche il sofferente, per paura, per non turbare e non compromettere determinati equilibri, indossa la sua maschera, finge e recita, rendendo impossibile un reale incontro tra persone.

 

2.Elementi per comunicare autenticamente con il sofferente.

 

2.1.ACCOGLIENZA

È la fase preliminare della comunicazione.

Accogliere l'altro, significa riconoscerlo essere umano, unico e irrepetibile, metterlo a proprio agio individuando i suoi bisogni essenziali e fondamentali, in modo particolare quello di sentirsi accolto e amato.

Spesso, il sofferente, non attende unicamente chi fa, perché è consapevole che a livello terapeutico o sociale è impossibile fare di più e meglio; aspetta chi è disponibile a interessarsi della sua interiorità dove sono presenti le sue paure e le sue ansie.

Chiede una comunicazione che entri con discrezione ma significativamente nel suo vissuto affinché quel colloquio sia la medicina per un cuore che spesso soffre ferite più profonde e dolorose di quelle del corpo.

 

2.2.ASCOLTO

In ogni comunicazione, uno dei fattori principali, è I'ascolto: attenti a quello che l'altro dice ma anche a “come lo dice”.

Questa è un'arte difficile non essendo più abituati ad ascoltare, assorbiti da una quotidianità frenetica, ma anche perché l'ascolto è influenzato da alcuni fattori disturbanti: le preoccupazioni personali, il desiderio di offrire immediatamente delle risposte, il disinteresse, la paura del coinvolgimento emotivo...

Per ascoltare è indispensabile il silenzio esterno e interiore, poiché unicamente sapendo udire noi stessi sapremo ascoltare meglio gli altri.

Dalla predisposizione a rimanere in silenzio sgorga la capacità di un ascolto che presta attenzione all’altro senza pregiudizi e senza riserve.

A queste condizioni possiamo definire l'ascolto un “atto spirituale”, “poichè intriso della competenza interiore, dell'eco interiore proprio di ciascuno. Un perfetto ascolto non è possibile se l’ interiorità è assente”

 

2.3.NON GIUDICARE

Giudicare ed etichettare reprimono la comunicazione oltre che bloccare ogni relazione.

A volte, emettiamo giudizi, anche se possediamo pochi e frammentari indizi. Poi, perseveriamo in quest’ atteggiamento o imponiamo autoritariamente il nostro punto di vista.

In ambienti circoscritti, la persona è spesso sentenziata da un dogmatismo manicheo e, in conformità a preconcetti e differenze, è etichettata per un lungo periodo anche se si sforza di modificarsi o si rivela migliore.

Con questo atteggiamento che denota Ia paura del confronto e l'incapacità ad abbandonare il proprio punto di vista, è impossibile gestire una valida relazione.

Serve porre come punti di partenza delle nostre affermazioni, e anche dei giudizi, quando si è direttamente chiamati a formularli, il considerare l'altro come un valore, l'accogliere una confidenza come un privilegio, il vincere la tendenza a colpevolizzare e il superamento di alcuni irrigidimenti difensivi.

 

2.4.CONTATTO CONTINUO CON LA PROPRIA INTERIORITÀ

Unicamente da un continuo contatto con I'interiorità scaturisce Ia capacità di scoprire il significato di quello che stiamo compiendo oltre l’essere onesti con se stessi e con gli altri.

Ciò permetterà di chiedere scusa in particolari momenti: “Oggi non so ascoltarti perché dentro non sono sereno” per evitare che la comunicazione divenga qualunquista o autoritaria.

 

2.5.SELEZIONARE LE RICHIESTE

Il sofferente si rivolge a chi ha di fronte con due modalità: esprimendo il desiderio di “essere preso a cuore” e qui esterna i dubbi, l'angoscia, i timori, oppure dichiarando “il bisogno di capire”.

Di fronte a queste espressioni: “desidero essere preso a cuore” e “voglio comprendere il senso di tutto questo”, dobbiamo comprendere a quale possiamo rispondere scegliendo quella che rappresenta la nostra esperienza o sulla quale stiamo conducendo una ricerca personale e spirituale.

Una risposta al primo interrogativo è spesso espressa dal silenzio partecipativo che manifesta la propria disponibilità: “Sono a tua disposizione”.

Mentre per le domande sul “significato” ognuno deve verificare fino a che punto può fornire una risposta veritiera.

 

2.6.STABILIRE UNA DISTANZA OTTIMALE

E’ utile individuare le tipologie di sofferenti che possiamo accompagnare senza un coinvolgimento emotivo e psicologico troppo profondo.

Oggi, nell’ambito socio sanitario, si pone particolare attenzione al “burnout”, lo stress che colpisce frequentemente chi esercita professioni di aiuto alla persona che richiedono rapporti interpersonali d’intensa emozione.

Esiste, inoltre, una “distanza ideologica” ottimale da conoscere e da rispettare; questo significa comprendere se il sofferente ha avuto e può avere ancora dei modelli di riferimento che lo sostengano.

A volte si propongono i propri valori e i propri ideali anche se il malato non è in grado di assimilarli; serve invece risvegliare quelli che lui ha ritenuto importanti ed ha vissuto.

 

2.7.UTILIZZARE IL TEMPO NECESSARIO

Il tempo, parte fondamentale della nostra vita, è l’elemento più prezioso che possiamo donare all’altro, andando contro corrente in una società dove si è soliti affermare: “Non ho tempo”.

E quando questo sarà, per necessità breve, è opportuno sublimarlo con l’intensità della presenza.

 

3.Le risposte

C. R. Rogers (1902-1987), psicologo statunitense, fondatore della terapia definita “non direttiva” e noto per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia all'interno della corrente umanistica della psicologia, evidenzia nella dinamica della relazione e della comunicazione sei tipi di risposte; cinque disturbano il processo di aiuto, mentre una, quella “comprensiva”, permette una valida relazione.

Risposte disturbanti: valutativa, interpretativa, rassicurante, investigativa e di soluzione immediata.

 

3.1.VALUTATIVA

Quando siamo destinatari di una domanda, la risposta più comune è quella valutativa che offre consigli sull'interrogativo formulato o che giudica l'altro per quello che ha comunicato.

La valutazione che si fornisce può ingiustamente colpevolizzare anche quando non esistono responsabilità o colpe, oppure enfatizzale se il giudizio è positivo. Ma spesso rischia, fissando lo sguardo sulla situazione attuale, di bloccare o rallentare ulteriori evoluzioni.

 

3.2.INTERPRETATIVA

In questa risposta, l'attenzione si sposta dal fatto contingente ai motivi che sollecitano l'agire in un determinato modo, oscurando la tensione e il reale bisogno dell'altro, soprattutto riguardo al significato.

Interpretare, inoltre, significa ignorare ciò che l’interlocutore dice o compie inconsapevolmente.

A volte ci si sostituisce allo stesso, tralasciando dati, informazioni e fatti, librandosi in astrazioni e deduzioni derivanti dai propri sentimenti e dalle proprie reazioni personali.

 

3.3.RASSICURANTE

La risposta rassicurante può essere utile in alcune situazioni poichè conforta il bisognoso d'aiuto che si sente compreso e incoraggiato.

Ma questo è un sollievo momentaneo soprattutto di fronte alle tematiche esistenziali, poichè l'aiutato si ritroverà quanto prima con i suoi dubbi e problemi.

 

3.4.INVESTIGATIVA

Questa risposta tende a conoscere maggiormente una determinata situazione.

Solitamente lo stile investigativo è negativo poichè dettato dalla curiosità o dalla fretta. Può essere positivo unicamente se stimola il bisognoso a spiegare meglio il proprio pensiero, aiutandolo a riconoscersi ancora in grado di essere parzialmente autonomo, superando la tentazione di abbandonarsi completamente agli altri. Ma questo non sembra l’obiettivo del nostro operatore pastorale: “Paura dell’anestesia? C’è qualcosa che la inquieta particolarmente nella sua vita?”.

 

3.5.SOLUZIONE IMMEDIATA

È quella che suggerisce con decisione al sofferente cosa deve fare: un altro sceglie per lui!

Anche questo tipo di risposta è negativa perché deresponsabilizza, non aiuta la crescita, denota più disinteresse che attenzione oltre che il desiderio di risolvere velocemente la problematica. Sembra il movente del nostro operatore pastorale: “La tranquillizzerebbe sistemare alcuni elementi del suo rapporto con Dio e con gli altri?”.

 

3.6.COMPRENSIVA (O DI COMPRENSIONE)

Le risposte che denominiamo di comprensione nascono dall'accettazione dell'altro nella sua diversità e nel suo limite. Unicamente così possiamo comprendere pienamente la sofferenza o Ia problematica dell'interlocutore.

Ricorda H. Nouwen: “Quando noi ci chiediamo quali sono le persone che nella nostra vita sono state le più significative, spesso troviamo che sono coloro che, invece di darci suggerimenti, soluzioni o rimedi, hanno preferito partecipare alla nostra pena e toccare le nostre ferite con mano tenera e gentile. L'amico che sa stare in silenzio con noi in un momento di disperazione o di confusione, che sa stare con noi in un'ora di lutto, di cordoglio, che accetta di non sapere, di non riuscire a curarci o a guarirci, e affronta con noi la realtà della nostra impotenza: questo è un amico che si prende cura di noi. La nostra tendenza è di scappare dalle situazioni penose o di tentare di cambiarle il più presto possibile. Ma curare, senza prenderci cura, fa di noi dei freddi funzionari o dei robot, e ci impedisce una vera comunione. Curare, senza prendersi cura, ci porta a perseguire i facili cambiamenti, ad essere impazienti ed incapaci di portare I'uno i pesi dell'altro. E così, curare può sfociare facilmente in una mancanza di rispetto, invece che in una esperienza di liberazione”.

http://www.gianmariacomolli.it/sito/wp-content/uploads/2014/01/CAP.6-LA-COMUNICAZIONE-E-LA-RELAZIONE-DAIUTO.pdf

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)