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La depressione: morire psicologicamente ed emotivamente

La depressione: morire psicologicamente ed emotivamente

La depressione è come un collasso interno, un morire dentro, emotivamente e psicologicamente, e questo spiega perché è spesso accompagnata da pensieri, azioni o sentimenti suicidi.

Relazione presentata dal Dott. Alfredo Ferrajoli nell’Incontro di Aggiornamento per Medici e Psicologi organizzato dall’Associazione Medica Privernate presso il Castello di S. Martino

Questa relazione tratterà il tema “depressione” attraverso il modello di riferimento analitico derivato dall’approccio reichiano e successivamente arricchito dalla metodica di Alexander Lowen, fondatore dell’analisi bioenergetica e dell’International Institute for Bioenergetic Analysis (I.I.B.A.) con sede in New York. E’ il modello al quale io faccio riferimento ed è lo stesso, ovviamente, dell’incontro dello scorso anno sugli attacchi di panico.

Per descrivere la personalità dei pazienti depressi, A. Lowen riferisce su alcune difficoltà, tipiche e facilmente riscontrabili. Queste difficoltà riguarderebbero la mancanza di “grounding”, la fatica attraverso la quale esse si rapporterebbero con il loro corpo, la perdita della fede nel Sé.

Secondo questo caposcuola, essere in “grounding” significa possedere le basi per essere radicato nella vita reale, cosa che mancherebbe nelle persone depresse. Il termine inglese “nobody per indicare “nessuno”, “nessuna persona” o “non sei nessuno”, “non esisti se non sei o se non hai un corpo”, oppure, alla lettera, “nessun corpo” o “senza corpo”, illustra bene il concetto secondo il quale le persone affette da depressione avrebbero perduto il contatto con il corpo, non abiterebbero più il loro corpo. 

Quando Lowen afferma, invece, che il paziente depresso ha perso la fede nel sé intende dire che egli non ha più fiducia nella vita e presenta difficoltà di apertura verso di essa e verso il futuro.

La fede, per Lowen, è in tal modo configurabile come quel ponte capace di collegare passato e futuro transitando per il presente ed è essenzialmente fede nel Sé. Questo ponte nel depresso sembra essere seriamente danneggiato o, quantomeno, compromesso. E’ il ponte dell’esperienza presente sul quale dovranno essere orientati, allora, gli interventi di psicoterapia.

La fede, secondo Lowen, non è solamente fede in Dio o in una religione; per lui la fede “è anche caratteristica dell’essere: dell’essere in contatto con se stesso, con la vita e con l’universo. È senso di appartenenza alla propria comunità, al proprio paese e alla terra.

Soprattutto è il senso di avere “grounding” nel proprio corpo, nella propria umanità e nella propria natura animale. Può essere tutte queste cose insieme perché è una manifestazione della vita, un’espressione della forza vitale che unisce tutti gli esseri (A.Lowen 1980, p.162).

La terapia ha successo quando fa riacquistare all’individuo la fede in se stesso e lo fa divenire una persona autodiretta, diretta dall’interno, dal suo centro. Negli interventi analitici di bioenergetica partendo dalle sensazioni che provengono dal corpo, dalle emozioni e dai sentimenti in esso depositati, è possibile ristabilirne il contatto perduto e riorientare il soggetto in direzione del Sé, nel fluire esperienziale del tempo.

Viktor Frankl, psichiatra austriaco, sopravvissuto agli orrori dei campi di concentramento della Germania nazista, arrivò alla conclusione che solo gli individui per i quali la vita ancora, nonostante la barbarie, continuava ad avere un senso poterono sopravvivere. Morì chi non ebbe più fede nella vita e nel continuare a lottare di fronte alla tortura, alla crudeltà, al tradimento, alle privazioni e alla degradazione, la vita in qusti uomini aveva perso ogni significato.

Antoine de Saint-Exupéry nel suo “Volo di notte”, (Mondadori 1965) ha descritto molto bene la situazione di crisi personale nella quale si era venuto a trovare e che poté essere superata grazie alla sua fede nella vita. 

Freud si era reso conto che le convinzioni interiori delle persone potevano influenzarne le attività biologiche. Né lui, però, né altri psicoanalisti seguirono questa traccia e restò a W.Reich il compito di mostrare la connessione diretta fra le funzioni corporee e i vissuti emozionali.

 

Fu questo studioso il primo ad introdurre, nella descrizione della depressione, il termine di “atrofia biopatica” per indicare l’indebolimento dell’apparato vivente fino ad arrivare ad una situazione di collasso energetico.

Ogni conflitto psichico avrebbe avuto, secondo questo modello, la sua controparte in un corrispondente disturbo fisico senza esserci separazione tra la sfera psichica e quella somatica; il corpo e la mente venivano ad essere considerati in tal modo due aspetti di un’unica realtà. Se si osserva il corpo di una persona depressa colpisce il fatto della sua scarsa vitalità. Il suo atteggiamento è caratterizzato da difficoltà nel consapevolizzare le limitazioni imposte dalle proprie rigidità muscolari, la motilità è ridotta e la respirazione è fortemente ridotta. 

Queste persone tendono ad identificarsi nel proprio Io piuttosto che nel loro corpo; si identificano più nella volontà e nella immaginazione che nel vivere pulsante del presente. La vita del corpo che è vita nel presente, è respinta ed è avvertita come irrilevante o come dolorosa e piena di sofferenze. Lowen, per esplicitare il problema depressivo, paragona la depressione alla perdita di aria che può verificarsi in un pallone che sia gonfio.

Di fatto, riferisce, è la carica energetica che si muove all’interno di un corpo che conferisce a quel corpo energia e motilità. Un organismo dotato di poca energia possiede un minor livello di eccitazione interna, si muove con fatica, è meno desto e meno pronto nel rispondere alle richieste dell’ambiente.

Nelle persone depresse questa carica è presente in maniera limitata e si assiste ad un impoverimento nella capacità del loro sentire interiore e ad una corrispondente perdita di motilità.

Esse hanno imparato a reprimere i sentimenti allo scopo di eliminare il dolore.

Possiamo parlare pertanto di depressione come di un collasso interno. La depressione è “morire dentro”, emotivamente e psicologicamente, e questo spiega perché essa è spesso accompagnata da pensieri, azioni o sentimenti suicidi. Il suicidio secondo Lowen, è l’atto consapevole dell’Io che si rivolta contro il corpo per non essere stato all’altezza dell’immagine che l’Io stesso si era fatta di lui, è l’ultimo atto di aggressione di u Io alterato e onnipotente che non è riuscito ad esprimere i suoi sentimenti veri.

Freud in “Lutto e melanconia” riferisce che vi è una relazione significativa tra depressione, suicidio e repressione dell’ostilità e che questa relazione non deve essere trascurata se si vuole comprendere in modo approfondito le dinamiche interne dell’individuo depresso. Secondo Freud, nel lutto è il mondo a diventare povero e vuoto, mentre nella melanconia è l’Io stesso ad essere povero e vuoto.

Più tardi, la figlia Anna ebbe modo di verificare come gravi privazioni affettive subite durante la prima infanzia, riattivate durante l’adolescenza, potessero portare perfino al rischio di suicidio che è sempre da intendersi come rinuncia dell’Io alla conservazione di sé.

Da sottolineare che in questi ultimi anni il suicidio è in aumento ed è la seconda causa di morte fra gli adolescenti.

Se inoltre possiamo considerare le attuali piaghe sociali rappresentate dall’alcolismo e dalla tossicodipendenza quali comportamenti reattivi al senso di disperazione a cui la depressione espone, siamo anche in grado di comprendere l’alto valore di patogenicità presente nella depressione.

Secondo Luigi Pavan, psichiatra italiano, intervistato recentemente da Stefano Lorenzetto (“Il Giornale” 21.07.02), i suicidi oggi non aumenterebbero per un rapporto conflittuale con i genitori, bensì, ancora più grave, per colpa di relazioni estremamente povere di comunicazione.

Karl Abraham, dopo anni di studi psicoanalitici, ritenne ce la depressione fosse dovuta alla contemporanea presenza di sentimenti ambivalenti di amore e di odio; in particolare, l’odio non ammesso e rimosso, non elaborato e metabolizzato, poteva essere rivolto, come il sentimento di colpa, all’interno, contro il Sé determinando la depressione.

Secondo il modello loweniano, ed anche secondo John Bowlby che vedremo in seguito, l’espressione del disappunto, dell’ostilità, della rabbia per una perdita avvenuta è utile all’individuo per elaborare in modo appropriato la sua condizione interiore di sofferenza e di lutto.

Nei pazienti depressi spesso troviamo che essa viene razionalizzata.“A cosa serve protestare se nulla potrà cambiare?”, riferiscono questi pazienti nelle sedute. Come ben sappiamo l’elaborazione del lutto non ha questo scopo, essa non può cambiare una condizione esterna reale.

Elaborare un lutto o una condizione di sofferenza estrema è concedersi l’espressione di un sentimento che potrà consentire alla vita di procedere. Se l’espressione di questi sentimenti viene trattenuta, il flusso della vita subirà tensioni e limitazioni che potranno portare l’individuo alla depressione.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.psiconline.it/articoli/depressione/corpo-e-depressione.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)