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Psicofarmaci: cresce l'abuso, soprattutto tra le donne

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Psicofarmaci: le donne li usano di più
In America le celebrities ammettono sempre più spesso di abusarne e le ricerche stimano che una donna su quattro li assume. Ma anche in

Italia il genere femminile, soprattutto dopo i quarant'anni, è il più soggetto all'uso di farmaci ansiolitici. Ne parliamo con gli esperti e

sentiamo la testimonianza di alcune di voi
di Laura Muzzi
"Whitney Houston, probabile mix fatale di psicofarmaci". È solo uno dei tanti titoli apparsi sui giornali dedicati alla scomparsa della

famosa cantante e puntualmente, come spesso accade in concomitanza di questi tragici eventi, nei media tornano a spuntare parole come

"depressione", "malattie psichiatriche", "ansia". Mali che vengono per lo più associati a condizioni eccezionali, ad uso di droghe o a

personaggi famosi dello star system.
Ebbene, secondo una ricerca statunitense effettuata dalla Medco Health Solution Inc in America una donna su quattro assume medicinali per

disturbi mentali e le prescrizioni per problemi psichiatrici per tutta la popolazione adulta sono salite del 22% dal 2001. Un dato molto

significativo che mette in luce una fragilità tutta femminile. Da quanto emerge, infatti, sono proprio le donne ad essere le più colpite: la

probabilità di ricorrere all'utilizzo di cure per ansietà è doppia rispetto a quella degli uomini. I dati, evidenziano poi una particolare

propensione nelle donne oltre i 45 anni, in questo caso l'11% della popolazione femminile tra i 45 e i 65 anni fa uso di farmaci ansiolitici.
Si tratta dunque di una realtà tutt'altro che di nicchia e anche se molte celebrità in passato hanno reso pubbliche le loro battaglie contro

questo genere di disturbi aleggia sempre una sorta di ombra grigia attorno al tema, una reticenza a parlare di un qualcosa che invece è

diventato molto diffuso nella nostra società. Tra i casi che hanno avuto più risonanza, quello dell'attrice Catherin Zeta Jones che è stata

in cura per una forma di disturbo bipolare dovuto allo stress subito a causa della lotta contro il cancro di suo marito Michael Douglas. Ma

anche Carrie Fisher, attrice di "Star wars" che ha curato la sua depressione cronica con la terapia ellettro shock. E come loro tanti altri.
E nel nostro Paese? Qual è la situazione italiana del consumo di psicofarmaci? L'abbiamo domandato al Prof. Luigi Ferrannini, presidente

della Società italiana psichiatria (Sip). "La situazione americana" spiega Ferrannini "differisce da quella italiana per molti aspetti, primo

fra tutti la struttura del servizio sanitario. Negli Stati Uniti, infatti, è più facile accedere agli psicofarmaci anche senza un percorso

sanitario e questo ovviamente rappresenta un fattore di maggiore consumo, in molti casi esente da controllo medico. Detto questo nel nostro Paese riscontriamo un incremento esponenziale dei disturbi dello spettro dell'ansia e dell'umore, le depressioni per intenderci, mentre si è avuta una diminuzione dei disturbi psicotici come schizofrenia, disturbo delirante e simili. I dati suggeriscono che circa il 10% della popolazione rischia di andare incontro almeno una volta nella vita a disturbi di ansia e depressione. Purtroppo anche in Italia sono le donne i soggetti più deboli: il doppio rispetto alla percentuale maschile colpita. I fattori di rischio sono legati principalmente a due aspetti: uno assolutamente personale, connesso anche alla storia genetica dell'individuo, l'altro invece è relativo allo stato sociale. In questo caso elementi come la disoccupazione, l'indebolimento della famiglia, problemi relazionali e coniugali o relativi alla gestione dei figli possono far precipitare il quadro clinico di una persona".
"Per quel che riguarda il consumo di farmaci" continua Ferrannini, "includendo anche le benzodiazepine, ansiolitici di classe C a carico

dell'utente, la stima si attesta tra il 10 e il 15%. Purtroppo nei confronti degli studi psichiatrici vi è ancora un approccio molto

negativo, sia da parte dei mezzi di comunicazione che della gente comune. Questi tipi di disturbi appartengono alla vita delle persone

esattamente come i quadri oncologici, quelli ipertensivi o diabetici. E ovviamente non si parla di follia, pazzia, o casi estremi. Se

ciascuno di noi analizzasse, infatti, l'albero genealogico della propria famiglia includendo una trentina di persone tra nonni, genitori,

sorelle, zii e cugini sicuramente avrebbe modo di verificare che esiste una zia affetta da un disturbo depressivo o una cugina che dopo la

nascita di un figlio non è uscita di casa per un lungo periodo. Questo argomento rappresenta ancora un grande tabù e, conseguentemente, si avverte una forte reticenza verso il trattamento dei disturbi psichiatrici minori che spesso non vengono presi in tempo e si possono trasformare in problematiche più complesse. Bisogna parlarne di più e con maggiore chiarezza e non solo quando si presentano estremi casi di cronaca".
Cosa ne pensano le donne italiane
Federica, architetto e fumettista racconta così la sua esperienza: "Sono contraria agli psicofarmaci. Sono medicine che possono alterare la

sfera emozionale della persona. In Italia poi l'argomento rappresenta un tabù, bisognerebbe parlarne di più e impegnarsi sulla ricerca ed il

miglioramento delle terapie di ascolto. La cosa che mi rattrista maggiormente di quanto emerge da questa ricerca è il fatto che la donna

paghi sempre più caro il prezzo di un inadeguato supporto sociale ai suoi problemi. Cosa farei se un medico mi prescrivesse degli

psicofarmaci? Semplice, cambierei medico". Non è dello stesso avviso Luciana, di professione neurologa, che sostiene: "Se ben somministrati

credo che gli psicofarmaci siano molto utili. Conosco moltissime persone che ne fanno uso sia in famiglia, che nella cerchia dei miei amici

più stretti. Per la mia esperienza non credo ci sia un vero tabù a riguardo e questo tipo di farmaci sono molto più diffusi in Italia di quel

che si pensa. Il caso americano però è differente. Lì le pubblicità su tv e giornali hanno portato ad un'eccessiva distribuzione di psicofarmaci e anche le sindromi depressive credo siano eccessivamente diagnosticate".
Violetta, manager e traduttrice ha vissuto un'esperienza poco soddisfacente: "Credo che gli psicofarmaci in quanto medicinali andrebbero

presi come tali. In molti casi si rivelano una salvezza ma in altri peggiorano addirittura la situazione. L'importante è che vengano assunti

sotto controllo medico. Nel mio entourage conosco diverse persone che ne fanno uso. Per lo più si tratta di ansiolitici più o meno blandi per

superare momenti difficili. Li hanno prescritti anche a me e sinceramente la mia reazione non è stata quella di pensare di essere pazza. In

quel momento sembrava necessario e ho seguito la cura. Ho smesso per mia scelta poco dopo perché oltre a darmi molta sonnolenza non avvertivo altri benefici. Non credo fosse proprio necessario nel mio caso e penso che lo psichiatra abbia prescritto tutti quei medicinali fin dal primo incontro senza realmente cercare altre soluzioni. E Ida, psicoterapeuta: "Ritengo che gli psicofarmaci debbano essere presi soltanto in presenza di gravissimo malessere e che siano utili e indispensabili solo in casi in cui la vita quotidiana risulti veramente compromessa.

Penso quindi che in America se ne faccia un abuso, lo fanno le donne e lo fanno le mamme non appena i propri figli scalpitano più del loro

livello di sopportazione. Ho l'impressione che in Italia le donne a cui vengono consigliati si spaventino e siano piuttosto reticenti a farne

uso. È un problema di scarsa informazione e succede lo stesso anche con l'analisi: se ti consigliano un farmaco o uno psicoterapeuta, allora

ti preoccupi di essere pazza". Quanto a Viola, ingegnere che lavora in campo farmaceutico non è assolutamente contraria: "Gli psicofarmaci?

Non sono assolutamente contraria, anzi! Sono a favore dell'utilizzo purché la prescrizione venga dal medico e sia sempre controllata. A volte

si tende ad abusarne e a rendere le persone troppo dipendenti. La cosa migliore è comunque abbinare la cura farmacologica con della

psicoterapia. Come reagirei se un medico me li prescrivesse? Se fosse una persona di cui ho stima la prenderei come una terapia da seguire,

magari un po' scettica, ma fiduciosa che potrebbe aiutare".


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)