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Psicofarmaci ed effetto placebo: considerazioni

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Il Paradiso degli psicofarmaci

Occorre ancora tornare sullo stridente contrasto tra la demonizzazione del consumo anche moderato, non problematico, di droghe illecite - in

particolare la cannabis, sulla quale si è da qualche tempo scatenata una versione "scientificamente" ammodernata del famigerato Reefer

madness degli anni '30, la follia da canne - e il disinvolto sconto alle crescenti evidenze di scarsa efficacia e di marcata tossicità degli

psicofarmaci di uso medico-psichiatrico. A tale seconda questione sono dedicate varie opere recensite da Marcia Angell, l'ex direttrice del

New England Journal of Medicine che se ne andò per insanabili contrasti con la rivista sui conflitti di interesse (New York Review of Books

del 23 giugno 2011, n. 11, p. 20-22; e del 14 luglio, n. 12, p. 20-22).
Ci limitiamo qui a due dei principali problemi: la reale efficacia degli antidepressivi e la reale nocività dei neurolettici o tranquillanti

maggiori. Una delle opere recensite riassume il lavoro del gruppo di Irving Kirsch, per confrontare i dati sugli antidepressivi pubblicati

(in genere dopo prove cliniche sponsorizzate dalle ditte) e quelli rimasti a lungo nascosti negli armadi della statunitense Food and Drug

Administration (FDA), ottenuti dai ricercatori dopo una defatigante battaglia in base alla legge sulla libertà di informazione.
Mettendo insieme gli uni e gli altri, Kirsch ha evidenziato una differenza significativa di modesta entità tra farmaci e placebo soltanto in

un numero relativamente limitato di casi di depressione più grave. Andando più oltre, ha poi mostrato che anche questo effetto si dilegua se

si usano "placebo attivi": cioè sostanze (come l'atropina) che non sono antidepressivi, ma che fanno "sentire" al paziente di esser stato

trattato con un farmaco anzichè col placebo. Resta ovviamente da spiegare perché il placebo (nei casi meno gravi) insieme alla convinzione di aver ricevuto un farmaco anzichè il placebo (nei casi più gravi) abbiano un tale effetto "antidepressivo" - ma questa è un'altra questione

tuttora irrisolta; così com'è un'altra questione il fatto che pur a fronte di tali evidenze gli antidepressivi seguitino a conquistare

posizioni in testa alla classifica dei farmaci più prescritti e venduti.
Ancora più preoccupante è la questione dei neurolettici, somministrati in tutto il mondo a milioni di soggetti psicotici e non - disabili

mentali, Alzheimer agitati, ecc. - spesso a dosi elevate e a tempo indeterminato. Sembra infatti che gli andamenti storici della percentuale

di psicotici i quali migliorano o addirittura guariscono siano stati significativamente in discesa a partire dalla introduzione dei

neurolettici negli anni cinquanta (ovviamente vanno esclusi dai confronti i soggetti che sono comunque gravemente danneggiati dalla

istituzionalizzazione prolungata in condizioni spesso disumane). Cioè i neurolettici, producendo pesanti alterazioni funzionali e alla lunga

anatomiche in centri importanti del cervello, sarebbero un fattore importante nella produzione di cronicità e defettualità. Del resto già

molti anni fa lo psichiatra statunitense Brennan - vox clamantis in deserto - aveva bollato i danni da neurolettici come "la più grave

catastrofe iatrogena di tutta la storia della medicina". Insomma, come afferma Humpty Dumpty in "Alice nel paese delle meraviglie", ciò

che conta è l'esser padrone del significato delle parole: cioè la droga va chiamata inferno, lo psicofarmaco paradiso; "e ssilenzio, sor

zomarone", per dirla col Belli


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)