La mia carriera di bevitore...

LA MIA CARRIERA DI BEVITORE
…e affidai il mucchietto di carne al Potere Superiore.
Sono Maurizio e sono un alcolista.
E’ bello, oggi, poterlo dire con gioia, affermano con la serena consapevolezza di asserire una verità che costituisce l’essenza di tutta la mia vita attuale. Le varie forme di orgoglio, i sogni di grandezza, di facile successo, di prevaricazione, oggi sono sopiti in questa nuova e splendida realtà di alcolista sobrio, sereno, desideroso di vivere e di comunicare la mia vita a chi è ancora avvolto nelle mortali spire dell’alcol.
A solo ventisette anni e con una “carriera” di bevitore cominciata intorno ai diciassette anni, davanti a me c’erano solo sofferenze, distruzione e una cupa atmosfera di morte imminente. Morte che, d’altra parte, desideravo più di ogni cosa: mi avrebbe liberato dalla vita e sarebbe stata l’arma suprema per vendicarmi di tutte le ingiustizie e i soprusi subiti da parte del mondo intero, compreso lo stesso alcol colpevole, dopo avermi promesso e dato tanto, di un altro e imperdonabile tradimento.
Sì, perché a un ragazzo immaturo e dalla personalità labile, quale mi riconosco oggi nel riesaminare gli anni del mio alcolismo, l’alcol, regala davvero molto: infonde carattere e coraggio, trasmette la capacità di superare timidezza e imbarazzi nei rapporti sociali, dona la sensazione di sicurezza in ogni luogo, sul lavoro così come con gli amici e in famiglia (solo dopo ci si rende conto che 6 pura e amara illusione).
Poco alla volta l’alcol si insinuò sempre più a fondo nelle mie vene e nel mio animo, colmò le lacune e le imperfezioni del mio carattere e trasformò completamente il mio modo di vivere. Se intorno ai vent’anni il mio consumo alcolico consisteva nell’assunzione di vino, anche a cadenze lontane tra di loro, negli anni successivi aumentò clamorosamente Dal vino passai al whisky, a dosi sempre più massicce e ravvicinate tra di loro. Fino al momento del mio incontro con A.A., miracoloso e a tutt’oggi incredibile, l’alcol era diventato il mio unico padrone. Non bevevo per vivere ma vivevo per bere, poiché ogni giorno DOVEVO introdurre nel mio organismo, con macabra e metodica regolarità, tre litri e mezzo di whisky. Quando si dice che l’alcol annienta chi, come alcolista, si affida morbosamente a esso, non si esagera ma si dipinge esattamente una triste e terribile verità.
A ventisette anni mi ritrovai a pesare meno di cinquanta chili, non riuscivo a ingerire un solo boccone di cibo, il corpo ora scosso ora bloccato da violente e dolorose contratture nervose che mi impedivano l’articolazione della parola e provocavano sconvolgenti tremori alle mani, la mente offuscata e volta a un unico pensiero, quello della morte. Infatti a quel tempo non pensavo minimamente di smettere di bere. Non capivo.
Fu mio padre, disperato e distrutto, a mettersi in contatto con il Gruppo di A.A. della città e, dopo parecchie insistenze, a convincermi ad andarci anch’io per potere parlare della mia situazione. Solo qualche mese dopo comunicai al mio adorato genitore che accettavo l’invito unicamente perché nella mia mente distorta, la parola “alcolista” era stata recepita e intesa quale sinonimo di “bevitore del mio livello”, e io, perennemente so lo, ero contento all’idea di poter trascorrere un paio di ore in compagnia di miei pari. Andai a parlare con il segretario.
Quel colloquio fu la mia salvezza. Innanzi tutto, seppure in evi
dente stato di ebbrezza, compresi che colui il quale mi parlava non era il solito medico o il solito moralista ma una persona che realmente capiva, perché come me, aveva provato sulla sua pelle le cose che mi esponeva. In secondo luogo, egli, forte delle informazioni avute da mio padre circa il mio innato istinto sociale, riuscì a fare leva proprio su questo e a scatenare in me un primo essenziale e basilare ragionamento. Mi dissi: “Costui può anche raccontarmi delle fole, però ha dalla sua questo dato di fatto inconfutabile, che, mentre io sono solo ed emarginato, egli ha un Gruppo dove agisce e ritrova lo spirito vitale. Vale la pena di provare, tanto faccio sempre a tempo a tornare sulla decisione!”.
La domenica successiva a questo colloquio, dopo una settimana di tormentosi pensieri e alterne bevute, alle dieci di sera, ingurgitai il mio ultimo abbondante sorso di whisky.
Entrai in Gruppo il 16 marzo 1985. Trascorsi una settimana tremenda, però questa volta sentivo che le mie sofferenze avevano un significato, al contrario di quanto accadeva prima. Ebbi l’onestà di consegnare a mio padre tutte le bottiglie nascoste sotto il letto, mi dedicai alla lettura degli opuscoli avuti dal mio padrino e affidai il mio mucchietto di carne e la mia anima svuotata al Potere Superiore che tante volte avevo superbamente sfidato e che allora, per la prima volta, pregavo umilmente che mi fosse vicino.
Le promesse che avevo udito dal mio padrino si avverarono; il secondo giorno fu meno terribile del primo, il terzo del secondo, tanto che, nel giro di sette giorni tornai al lavoro e cominciai la mia frequenza al Gruppo. Qui, a mente lucida e grazie alle testimonianze del miei attuali compagni di viaggio, ebbi modo di capire come e perché ero malato, per quale motivo lo sarei stato per tutta la vita, in quale modo ingabbiare la mia malattia progressiva, inguaribile e mortale e come avrei potuto muovermi attraverso l’infallibile programma di A.A..
Seguendo, frequentando assiduamente le riunioni e mettendo in pratica ogni giorno gli insegnamenti tratti dalla letteratura, dalle testimonianze, dagli incontri di Alcolisti Anonimi, non solo sono riuscito a smettere di bere ma la mia vita ha cambiato corso e si è trasformata a tal punto che mi sembra davvero di essere nato una seconda volta.
Il ragazzino, superbo, orgoglioso, sognatore, megalomane, gravemente immaturo è oggi un uomo sulla trentina che svolge con gioia la sua professione, che accetta con umiltà i limiti del proprio essere e che ha imparato, giorno dopo giorno, ad affrontare la vita quotidiana.
Non vi sono parole per definire quale e quanta sia la gratitudine che nutro per A.A.; ritengo però mio dovere renderla evidente cercando a mia volta di donare al fratello che ancora soffre la stessa ancora di salvezza che è stata gettata a me con tanta generosità e assoluto spirito di carità fraterna.
Maurizio