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Dipendenza da smartphone e nomofobia: effetti e consigli per evitarle

Dipendenza da smartphone e nomofobia: effetti e consigli per evitarle

 

Dipendenza da smartphone e nomofobia: effetti e consigli per evitarle

La dipendenza da smartphone e la nomofobia, ossia la paura di restare disconnessi, sono problemi molto frequenti: effetti e iniziative per combatterle.

 

A partire da uno studio condotto su un campione di 2.163 persone e commissionato da Post Office Ltd all’ente di ricerca YouGov è stato coniato il termine inglese nomophobia (nomofobia in italiano). Il neologismo, nato dall’abbreviazione di “no-mobile-phone”, indica il terrore di rimanere sconnessi dalla rete mobile. Sulla dipendenza da smartphone la ricerca condotta nel 2008 ha rilevato che in Gran Bretagna il 53% di chi ne possiede uno manifesta stati d’ansia quando non può usarlo (ad esesempio a causa della batteria scarica o del credito in rosso oppure in assenza della copertura di rete). A soffrire di questa nuova forma di psicopatologia sono per il 58% uomini e per il 42% donne.

L’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva ha provato a descrivere alcuni dei possibili sintomi della nomofobia: si tratta di sensazioni che somigliano molto ad attacchi di panico, come angoscia, difficoltà a respirare, vertigini, nausea, sudorazione, tremori, tachicardia, ecc.

Sembra comunque che i nomofobici provino a evitare l’ansia ricorrendo a vari comportamenti preventivi (portando sempre dietro un caricabatterie e disponendo di credito sulla sim, per esempio). Un altro dato mette in evidenza la dipendenza da smartphone che affligge la nostra società: per quanto riguarda il consumo di contenuti da mobile, infatti, sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni non vanno a letto senza il proprio dispositivo.

Inoltre, c’è chi parla di ringxiety (termine che nasce dalla fusione di “ring” e “anxiety”), cioè il disturbo di cui soffre chi crede di avvertire, con grande frequenza, notifiche inesistenti provenienti dal proprio cellulare; queste persone accuserebbero, quindi, di stati d’ansia dovuti a squilli o una vibrazioni che in realtà non esistono.

Dipendenza da smartphone: quando il cellulare viene usato… anche in bagno

Secondo i dati Audiweb, nel 2017 l’internet audience ha raggiunto 24,2 milioni di utenti unici nel giorno medio, da diversi dispositivi, numero che tra l’altro registra una crescita dell’8,7% rispetto alla media dell’anno precedente. Gli italiani, in particolare, si sono collegati per circa 2 ore e 22 minuti al giorno, con una preferenza per l’accesso da mobile.

Se una volta il cellulare serviva a effettuare telefonate e inviare messaggi, oggi consente di fare molte più cose e viene utilizzato in tante circostanze diverse nell’arco della giornata. Le tante funzionalità, allora, lo rendono uno strumento quasi indispensabile e “utilizzabile ovunque. Non a caso, il tempo trascorso davanti allo smartphone è aumentato in maniera sostanziale negli ultimi anni, per tutte le fasce d’età e addirittura, come emerso da ricerca di Verizon Wireless, sembra che il cellulare venga usato tanto anche in bagno

Nomofobia: studi all’estero e una proposta dall’Italia

La ricercatrice Francisca Lopez Torrecillas dell’Università di Granada ha svolto uno studio su giovani tra i 18 e i 25 anni e ha riscontrato che si tratta della fascia d’età che maggiormente soffre di dipendenza da smartphone. Per la docente le cause più evidenti sarebbero bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali. Secondo David Greenfield, professore di Psichiatria all’Università del Connecticut, questa dipendenza può influire sulla produzione della dopamina (il neurotrasmettirore del piacere e della ricompensa); di conseguenza, ad esempio, all’apparire di una notifica di WhatsApp o Facebook il livello di dopamina tenderebbe a salire, nella speranza che si stia per vivere qualcosa di eccitante. Per quanto concerne le ricerche italiane, due studiosi dell’Università di Genova – Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente – hanno proposto che la nomofobia venga inserita nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM), punto di riferimento mondiale per psicologi e psichiatri. Bragazzi e Del Puente definiscono questa fobia come “guscio protettivo o scudo” e “come mezzo per evitare la comunicazione sociale”. Secondo i ricercatori, inoltre, «come in ogni forma di dipendenza, il primo sintomo è anche in questo caso la negazione» e ciò rende più difficile l’accettazione e la cura del disturbo

 





(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

https://www.insidemarketing.it/dipendenza-da-smartphone-e-nomofobia/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)