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Dipendenza: si va verso la normalizzazione dei consumi

Dipendenza: si va verso la normalizzazione dei consumi

DIPENDENZE: SI VA VERSO LA NORMALIZZAZIONE DEI CONSUMI

I dati dimostrano che a rischiare di più sono le seconde generazioni. E che oggi si può parlare di consumo socialmente integrato delle sostanze illegali

 

È sempre utile parlare con cognizione di causa di dipendenze, a maggior ragione oggi che il tema dipendenze viene toccato più dal punto di vista della politica della sicurezza che da quello della prevenzione. La lettura che ne fa Raimondo Pavarin, sociologo dell’Università di Bologna, che abbiamo incontrato al seminario Solitudini, organizzato da Redattore Sociale a Capodarco di Fermo, è molto interessante.

I consumi di alcol e sostanze illegali negli ultimi anni sono stati influenzati dalla crisi economica. Dopo il 2008 i consumi (ad esempio quello di cocaina) sono calati e poi risaliti, e parallelamente lo hanno fatto anche i decessi. C’è stato un aumento degli accessi ai reparti di Pronto Soccorso nella zona di Bologna (902 nel 2017 contro i 256 del 2009), un aumento dei decessi per overdose (il picco sono stati i 23 del 2013 contro i 5 del 2010 per scendere a 11 nel 2017). I ragazzi di seconda generazione si trovano in una posizione sociale molto delicata, che li porta verso il consumo di sostanze illegali. Per quanto riguarda l’alcool c’è una normalizzazione dell’eccesso, dovuto anche alla perdita dei riferimenti tradizionali della cultura mediterranea: è spesso una scelta razionale, un’alterazione consapevole. C’è una buona conoscenza degli effetti che provocano, e i “non luoghi” giocano un ruolo importante nel consumo.

In fatto di sostanze illegali oggi si può parlare di un consumo socialmente integrato. Emerge un consumo di sostanze psicoattive che non pregiudica le relazioni sociali e non interferisce con le attività quotidiane e gli impegni di studio e lavoro. Non vi è una chiara demarcazione tra chi è considerato un venditore e chi è invece un semplice cliente, così molti consumatori partecipano ad entrambi gli aspetti delle transazioni. La chetamina spesso si consuma dall’amico e la si cucina insieme in padella: non si può parlare di un vero e proprio spaccio. Nasce un mercato di tipo domestico che si basa sulla fiducia e sulla contiguità tra acquirente e venditore: le transazioni si fanno quasi esclusivamente tra amici e conoscenti, e non sono finalizzate prioritariamente ad attività di lucro.

 

QUANTO RISCHIANO LE SECONDE GENERAZIONI. Un discorso interessante è quello legato al rapporto tra dipendenze, minori di seconda generazione e posizione sociale.
È un discorso che ha a che fare con quello che siamo soliti definire il capitale sociale, che è diverso dal capitale monetario. Perché la povertà non è solo di risorse, ma anche di tipo culturale. Un recente studio su 2095 minori (dai 13 ai 16 anni) intervistati in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Campania, compara i nativi italiani, i non nativi e le seconde generazioni. I rischi di dipendenza aumentano notevolmente nella fascia di seconda generazione, spesso composta da ragazzi che abitavano solo con la madre.
Le seconde generazioni sono a rischio di stili di vita discutibili perché sono una fascia più povera, ma non solo. Nelle famiglie dei ragazzi di seconda generazione ci sono molte madri sole con figli e molte madri con figlie femmine: una madre sola con figli può avere frequenti cambi residenza e frequenti cambi di partner e tutto ciò incide sui figli.
Gli stranieri che arrivano in Italia, anche se devono fare lavori non consoni al loro livello di studio e vivere in una casa popolare sono contenti. La seconda generazione si rende conto di non avere tutte le cose dei propri coetanei e ne soffre. Per questo il rischio di rifugiarsi in qualche sostanza è molto alto: se per i nativi l’indice che indica questo rischio è  1 e per i non nativi 0,71, per le seconda generazioni è 2,66.

Proprio per far capire quanto conti il capitale sociale, uno studio basato su 1005 interviste a studenti di scuole medie inferiori e istituti professionali dell’Area Metropolitana di Bologna nel 2017/18 ha distinto i giovani in tre gruppi. Il primo, in cui entrambi i genitori producono reddito e almeno uno è laureato; il secondo in cui entrambi i genitori hanno un reddito; e il terzo, in cui c’è solo uno reddito. Il terzo gruppo riscontra un consumo più elevato di cannabis, tabacco e alcol. Spesso i figli di laureati godono di un capitale sociale legato alle relazioni, godono di una certa attenzione da parte dei genitori e questo fa la differenza.

 

LA NORMALIZZAZIONE DELL’ECCESSO ALCOLICO. Tra le varie dipendenze, quella dall’alcol è una di quelle che tende ad essere sottovalutata. Le ricerche ci dicono che i giovani tra i 18 e i 29 anni sono a rischio: è una fascia non esposta a progetti di prevenzione, che si fermano alle scuole medie e superiori. Uno studio condotto tra 500 ragazzi tra i 18 e i 29 anni che avessero bevuto almeno una volta nell’ultimo anno (nella zona di Bologna che è stata divisa in 5 quadranti), ci dice che di tratta di ragazzi che si ubriacano consapevolmente, sanno già l’effetto del giorno dopo e quindi pianificano quando ubriacarsi: lo fanno quando sono liberi da impegni studio e lavoro. Bere non è più stigmatizzante, è una cosa accettata dagli altri. Si pensa che l’effetto protettivo della cultura mediterranea possa servire, ma non è così. L’alcolismo oggi è effetto dell’individualismo. Non si parla più di stare a una festa dove ogni tanto qualcuno ti riempie il bicchiere. Oggi si dice proprio “io esco per ubriacarmi”, è un imperativo.
Si tratta di persone che non hanno molti soldi, e bevono più a casa che quando escono. Si ubriacano, e nel caso esagerino chiamano l’ambulanza. Sono in aumento, infatti, i ricoveri per intossicazione alcolica acuta. Un altro aspetto è la vendita clandestina degli alcolici. Per molti ragazzi la cosa interessante sono i non luoghi: spesso la festa è di fronte ai locali, che in molti non possono permettersi. Così dei ragazzi di Cesena affittano un bar di fronte a un luogo di concerti perché sanno che i ragazzi lì non ci entrano e sanno che la festa è fuori.

 

IL CONSUMO SOCIALMETENTE INTEGRATO. Sul consumo socialmente integrato di sostanze illegali ci dice molto un recente studio fatto su 320 soggetti con uso recente di sostanze illegali che dura da almeno un anno, con frequenza settimanale, mai stati in un SERD, intervistati nel periodo 2017/2018 in 13 regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia, Sardegna, Piemonte, Marche, Umbria, Puglia, Campania, Veneto, Lazio, Calabria, Toscana, Basilicata). L’età media dei consumatori è di 28 anni: 1 su 4 è laureato, il 15% non studia né lavora. Quasi la metà (il 45%), compra e vende sostanze. E molti sono poliassuntori, spesso c’è un’elevata compromissione con l’alcol. Molto spesso l’acquisto avviene nell’abitazione del venditore di fiducia o del conoscente amico, se c’è un buon rapporto qualità prezzo. La droga si consuma a casa, o nei contesti del divertimento, sia soli che con amici. Tra i motivi che portano all’uso di queste sostanze c’è la facilità di relazioni, la ricerca di particolari sensazioni, il divertimento. Il 18,8% fa uso di eroina.
Il consumo di queste sostanze porta a una serie di disturbi. La metà ha disturbi del sonno, poi ci sono depressione, problemi di memoria e ansia. E solo uno su tre degli ha la consapevolezza di avere una dipendenza. C’è consapevolezza sui danni temuti, che sono importanti, perché se uno li teme si crea dei criteri per consumare droghe. Il 75% teme di essere trovato in possesso, oltre il 60% teme i problemi di sonno e la segnalazione del consumatore.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.retisolidali.it/dipendenze-normalizzazione-dei-consumi/

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)