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Facebook come la cocaina? Il paragone regge ma è problematico

Facebook come la cocaina? Il paragone regge ma è problematico

FACEBOOK E' COME LA COCAINA: SICURI CHE SIA COSI' SEMPLICE?
Tanti studi paragonano la dipendenza dal social network alla ludopatia e alla dipendenza da droghe. Ma ancora una cura non c’è

Facebook è come la cocaina. Il social network fondato da Mark Zuckerberg può creare dipendenza proprio come l’alcaloide. Lo sostiene uno studio pubblicato di recente su Psychological Reports: Disability and Trauma nel quale una ventina di studenti dell’università della California hanno dichiarato sintomi simili a quelli riscontrati nelle persone che fanno abitualmente uso di droghe pesanti se privati dell’accesso alla piattaforma.


“Le dipendenze connesse alla tecnologia – si legge nel documento – sfoggiano caratteristiche simili a quelle relative alle droghe e al gioco d’azzardo”. In una seconda fase dell’indagine è stata mostrata ai volontari una serie di immagini con la preghiera di premere o meno un tasto in corrispondenza di alcune e non di altre. Quelli che avevano spiegato di sentirsi ansiosi senza il costante flusso della loro bacheca sotto gli occhi erano gli stessi che, tenuti anche sotto monitoraggio cerebrale, premevano più rapidamente il pulsante durante la visione di scatti relativi a Facebook, come il logo. Alcuni li riconoscevano addirittura più velocemente dei segnali stradali.


“È abbastanza spaventoso – ha spiegato Ofir Turel, un docente della California State University – significa che gli utenti si sentono in dovere di rispondere a un messaggio su Facebook sul proprio smartphone prima di badare alle condizioni del traffico, se per esempio stanno usando il telefono mentre guidano”. Come dire, l’ecosistema che muta porta con se anche una serie di rivoluzioni nelle gerarchie cerebrali. Non tutte positive. Anzi. Il social, e tutto quello che significa in termini di inclusività sociale verrebbe per esempio, almeno per quei soggetti, prima della sicurezza.


Si tratta dell’ennesima indagine di questo tenore. Negli ultimi anni se ne sono affastellate centinaia. Alcune di assoluto spessore e grande interesse. Con tanto di decaloghi derivati sviluppati dalle più diverse associazioni. Generazioni connesse, il gruppo di lavoro del ministero dell’Istruzione, ha per esempio diffuso nei mesi scorsi un elenco di campanelli d’allarme da tenere d’occhio per capire se si è effettivamente dipendenti da social network. Si va dalla pubblicazione di selfie a manetta all’eloquio infarcito di hashtag (?) passando per lo scarso parallelismo fra gli amici digitali e quelli conosciuti per davvero fino al classico incollamento allo smartphone o a Facebook come prima mossa quotidiana al risveglio.


Un piccolo esperimento del 2014, fra i più interessanti, puntava invece a scioglierci dal cappio dei numeri. Secondo il programmatore e artista statunitense Ben Grosser sarebbero quei numerini rossi, le notifiche complessive, le nuove richieste di amicizia, i nuovi messaggi, sintetizzate in alto a destra nella versione desktop o altrove nelle app mobile, a tenerci in ostaggio. L’aveva stabilito in base a un’indagine lanciata nel 2012. Tanto che s’inventò un’estensione, battezzata The Facebook Demetricator, che ripuliva il social da quelle cifre, sostituendole con icone azzurre. Per vedere che effetto facesse. L’università norvegese di Bergen ha invece varato una sorta di scala di dipendenza da Facebook che, muovendo da alcune domande come “Usi Facebook per dimenticarti dei problemi?” consente di valutare il livello di dipendenza dal sito. Se dici sì a quattro su sei, non c’è scampo: sei un tossico dei social.


Insomma, ne sono state pubblicate così tante, di ricerche simili, e con così scarsi risultati – basti pensare alla storia delle foto dei bambini su Facebook, che le mamme, nonostante ogni genere d’invito, continuano a pubblicare senza sosta – che viene quasi da pensare che forse stiamo sbagliando qualcosa. Nel senso che questo genere di dipendenza – che nell’immediato non produce effetti negativi come quella dalle droghe – andrebbe forse esposta, spiegata e comunicata in un modo diverso. Con un’educazione a 360 gradi, che parta dagli adulti per arrivare ai bambini. Perché spesso sono i più grandi, i Millennials già padri o fratelli maggiori, a rappresentare un pessimo esempio in termini di tempo dedicato (sprecato?) ai social.


Un dato è chiaro: anche se sotto il profilo cerebrale i segnali sono gli stessi, anche se i sintomi sono simili, raccontare la dipendenza da social network con i toni allarmistici di quella dalla cocaina o dal gioco d’azzardo non sta funzionando. Non produce risultati e anzi, per la gravità percepita rispetto a questi altri fronti, dall’opinione pubblica ritenuti nel complesso estremamente più gravi e preoccupanti di un impallinato da post, spesso è una comunicazione a perdere. Perché viene liquidata al capitolo “stranezze” invece di essere seriamente presa in considerazione.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.gqitalia.it/gadget/hi-tech/2016/03/08/facebook-e-come-la-cocaina-sicuri-che-sia-cosi-semplice/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)